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Scegli me

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*BabyStella*
CAT_IMG Posted on 1/10/2010, 16:56




Autore: *BabyStella*
Genere: Twc, Romantico, Angest, Ironico
Titolo: Scegli me
Note: Questa schot nasce da un desiderio, il desiderio di poter avere la stessa felicità, di poter avere la stessa sicronia, di poter avere la stessa simbiosi. Sarà divisa in due parti.
Spero che vi piaccia. Baci, Titty.



Questa storia è sotto licenza dalla Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia License,quindi:
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.Scegli me.



Bill continuava a percorrere quel maledetto corridoio da ben due ore consecutive. L’agitazione che sentiva scorrere nelle vene non riusciva a placarsi, era così forte da riuscire a confondergli le idee. Non ci stava capendo più niente, un’ attimo prima si trovava nella capitale Spagnola per un concerto e l’attimo dopo era stato trasportato urgentemente in ospedale per un motivo valido. Forse troppo. Tom giocherellava nervoso, con le dita esperte facendole sfregare tra di loro, sembrava avesse freddo ma in realtà sentiva un calore immenso salirgli al cervello per poi espandersi in tutto il suo corpo così velocemente da non riuscire a fermarlo. Georg camminava lento per la sala d’attesa reggendo un braccio sull’altro, mentre la mano destra era impegnata ad arricciare i suoi lunghi capelli setosi, Gustav dal canto suo non sapeva più cosa fare, cosa pensare. L’arrivo di Saki nel bel mezzo del concerto, allarmato e spaventato come non mai li aveva spaventati così tanto da annullare la data e promettere alle fan, letteralmente il lacrime, l’assoluta certezza che il giorno dopo l’evento musicale si sarebbe ripetuto senza intoppi o problemi vari. L’unica cosa che era riuscito a fare decentemente era stata la semplice azione di infilare una monetina da cinquanta centesimi nella macchinetta automatica e portare i caffè ai suoi amici, sperando che in qualche modo sarebbe riuscito a calmarli. Le sue buone intenzioni però non sembravano ottenere un risultato soddisfacente, visto che Bill non aveva abbandonato la sua sfrenata camminata nel corridoio senza dire nemmeno una parola, bella o brutta che sia.
“Bill calmati.” Lo rassicurò il gemello. Bill si voltò verso il fratello lanciandogli uno sguardo poco gradevole, sapeva che in quel modo poteva solo peggiorare le cose ma in quel momento niente per lui sembrava andare nel verso giusto, e l’ultima cosa che si aspettava era ricevere un sostegno patetico dalla persona più importante della sua vita.
“Non ci riesco, e smettila di dirmi di stare calmo Tom! Non ci riesco! Ok? Non ci riesco!” quasi urlò alla fine ma l’infermiera all’accettazione lo aveva guardato malissimo e aveva sussurrato flebile un “Siamo in ospedale.” Così il povero Bill si ammutolì gettandosi a peso morto sulla seggiola in plastica grigia accanto al chitarrista, senza dire altro.
“Lo so che sei agitato, ma questo non risolve le cose.” Tom appoggiò una mano sulla sua spalla cercando di tranquillizzarlo anche se, in quella situazione anche lui sentiva il nervosismo impossessarsi di sé senza lasciarlo andare nemmeno per un istante. Bill appoggiò le braccia sottili sulle gambe per poi buttare il capo sui palmi delle mani e sospirare profondamente, cosa poteva esserle successo? Perché Saki era così agitato? Aveva visto correre la guardia del corpo dietro le quinte con il fiatone e accostarsi al loro manager iniziando a parlare frettolosamente, quasi avesse voglia di dire ciò che tanto lo preoccupava, David aveva annuito triste e senza preavviso aveva avvertito la band dell’imminente cancellazione del concerto, cosa che non avrebbe mai fatto senza un valido motivo.
“Andrà tutto bene.”
“Si. Scusa per prima Tomi, sono così nervoso.” Bill lasciò scorrere la mano sinistra sulla gamba del fratello per richiamare la sua attenzione, cosa che ottenne in poco tempo. Tom infatti sorrise appena al gemello stringendo l’arto tra le sue mani per poi lasciar scivolare le loro dita in un’ unico nodo, indissolubile.
“Vedrai, sarà solo un controllo, mamma sta parlando con i medici.” Bill si morse un labbro maledicendosi, non avrebbe dovuto lasciarla con la madre, avrebbe dovuto portarla con sé e lasciarla tra le mani dolci di Tobi, avrebbe dovuto pensare di più alla sua sicurezza piuttosto che guardarla dormire nel suo lettino prima di uscire di casa e raggiungere la sua auto nel vialetto, sfrecciare veloce all’aeroporto e partire verso la sua carriera. Come aveva potuto?
Non lo avrebbe mai perdonato, ne era certo.
La conosceva abbastanza bene da constatare che la sua assenza per lei, era come un respiro mancato, come un sorso d’acqua non ricevuto, come se l’essenza vitale le si fosse dissolta tra le dita senza che potesse impedirlo.
“Tesoro!” la voce squillante di Simone irruppe nei suoi pensieri senza preavviso e nonostante la situazione poco tranquilla, il moro lasciò scivolare le dita dalla presa forte di Tom per precipitarsi ad abbracciare la madre.
“Come sta? Dimmi che sta bene ti prego!” la strinse forte a sé, sembrava che l’immagine della madre non gli fosse stata accanto per anni, piuttosto che vederla sorridere sulla soglia di casa la sera prima. Simone abbracciò il figlio accarezzandogli lentamente la schiena mentre Tom e gli altri si avvicinavano velocemente ai due, persi in un momento di reciproco appoggio.
“Sta bene tesoro. Stai tranquillo, il dottore mi ha detto che è solo febbre e raffreddore preso in tempo, deve rimanere qualche giorno qui per i controlli e poi potremo tornare tutti a casa.” Bill saltò sul posto allontanandosi velocemente appoggiando le mani sulle spalle della donna per darsi una forza maggiore, la guardò negli occhi preoccupato e nervoso iniziando a pensare a tutto ciò che gli aveva detto.
Febbre. Ok.
Raffreddore. Può andare.
Rimanere qualche giorno in ospedale. Tragedia.
“Cosa?! Non posso lasciarla qui da sola! Domani abbiamo il concerto.” Simone sorrise affidabile accarezzando dolcemente la guancia del figlio, sapeva che quello era forse l’unico modo per tranquillizzarlo. Il crestato infatti premette ancora di più la guancia sul palmo, chiudendo gli occhi.
“Stai tranquillo tesoro, ci penserò io. Non dovevate venire qui, se ti vede adesso non ti lascia più andare.”
“Quindi sta bene? Niente di grave?” s’intromise il gemello in cerca d’ informazioni utili, vedere Bill nel bel mezzo di una crisi di pianto nel viaggio, era stato un colpo al cuore per lui, vedere la sua parte mancante piangere tremando non era il meglio di ciò che desiderasse.
“Niente di grave ragazzi.” Bill si allontanò lentamente dalla madre cercando di pensare ad una soluzione, non sapeva proprio cosa fare, l’unica cosa che gli balenò tra i pensieri fù riuscire a vederla prima di ripartire, senza sapere, che quell’azione avrebbe stravolto tutti i suoi piani.
“Voglio vederla.” Disse, mentre Georg e Gustav stavano parlottando tra di loro sul modo più strepitoso di trasportare l’enorme regalo nella stanza.
“Ma.. tesoro.. non.”
“Voglio vederla mamma. Per favore.” La donna annuì disperata, sapeva che quando Bill si metteva in testa una cosa niente e nessuno poteva distrarlo o trovare un compromesso, in un modo o nell’altro riusciva a trovare il modo per rigirare la situazione a suo favore e arrivare al suo obiettivo.

L’infermiera accompagnò la rock star davanti alla porta bianca dell’ospedale continuando a ripetergli che solo una persona poteva restare per la notte e di non farla sforzare troppo, visto che era stata presa appena in tempo prima di entrare nello stato finale, ovvero crisi di panico e brividi di freddo continui. Bill invece annuiva senza ascoltare le sue parole, come aveva potuto lasciarla sola? Partire senza di lei era stato come lasciare a casa un pezzo del suo cuore, lasciare la sua vera essenza di vita e abbandonare la sua unica ragione di serenità, la sua unica felicità, la sua unica azione riuscita perfettamente, almeno questo era quello che pensava.
La donna vestita di bianco aprì la porta con un cigolio per poi lasciar libero il passaggio al cantante che impalato come uno scemo fissava un punto non definito davanti a sé ripensando ai suoi rimpianti e al modo in cui avrebbe potuto riparare alle sue azioni.
“Signor Kaulitz?” Bill trasalì annuendo ancora una volta iniziando a camminare lentamente nella camera, solo quando sentì la porta alle sue spalle chiudersi piano, capì che quello era il momento della verità. Se anche lei, si fosse trovata dalla parte opposta alla sua allora, anche l’unica possibilità di trovare la vera felicità interiore, per lui, si cancellava nel vuoto in un’ attimo.
Le pareti della stanza erano dipinte di un’ azzurro flebile, quasi trasparente, in lontananza vi era un piccolo lettino disfatto dal corpo debole che dormiva all’ interno delle coperte bianche, accanto ad esso una sedia solitaria ed un orribile profumo di alcool inondava la stanza facendo nascere sul volto del crestato una smorfia di disgusto. Odiava gli ospedali, anche solo il pensiero di dover trascorrere una notte intera al suo interno gli provocava uno stato di nervosismo fuori dal normale, dover ascoltare le storie di persone sfortunate lo dispiacevano, vedere parenti angosciati in ogni angolo della struttura, annullava il suo buon umore di sempre, sentire l’odore degli antibiotici e medicine gli provocava un senso di nausea.

Ma per lei, avrebbe resistito anche le pene dell’inferno.

Si avvicinò lentamente al lettino, sfiorando con le dita affusolate, il ferro gelido che circondava il materasso, non sopportava la visione che si faceva largo in quella stanza, non sopportava doverla vedere debole come un foglio di carta, non sopportava la situazione in cui lui, non aveva nessun potere per far migliorare le cose. Si mise seduto sulla sedia accavallando una gamba come suo solito, si grattò nervoso il tatuaggio con il logo della band sulla nuca senza sapere cosa fare, il suo corpo stanco e senza forze crollò immediatamente, annullando ogni movimento all’infuori di quelli che stava già compiendo. Posò lo sguardo triste sul corpo che giaceva sul letto osservando attentamente il suo volto così simile al suo. Tutti, anche David aveva constatato che gli assomigliava troppo, sembrava la sua copia esatta. Ricordava ancora quando il manager, seguito dai membri dello staff si erano riuniti nella sala conferenze per una riunione importante.

“Allora.. tutti sappiamo che questa cosa non è normale.” Disse Georg scuotendo la chioma di capelli piastrati. Tutti annuirono nello stesso momento mentre Bill, arrabbiato si era appoggiato alla parete della sala incrociando le braccia e le gambe nello stesso modo.
Tutto quello che stava vivendo era assurdo, fuori dal normale.
Il bassista aveva richiesto ad ogni costo quella riunione speciale con tutti, anche i tecnici del suono e delle luci erano stati invitati ma lui era forse l’unico che in tutto quello non trovava niente da dire, niente di cui ridere o scherzare.
“Concordo! Non mi convince affatto questa cosa, siamo sicuri che Bill non è un’ alieno?” affermò ridendo David. Saki annuì ridendo per poi riportare sul suo volto un’ espressione di totale serietà.
“Dovremo richiedere al comune un documento ufficiale per esserne certi, magari Simone lo ha trovato in un campo di grano come per Clark!”
“Clark? Chi è Clark?” chiese curiosa Natalie.
“Clark Kent! Quello di Smallville!” Bill alzò perplesso un sopracciglio trovando qualcosa per cui ridere, essere confrontato ad un attore come quello, per lui era tutt’altro che un’ insulto.
“Oddio Saki ha ragione! Forse anche Tom è un’ alieno!” il chitarrista scoppiò a ridere buttandosi sul divano di pelle nera riprendendo la sua espressione seria dopo qualche minuto.
“E’ vero. Lo ammetto. Sono un’ alieno.”
“Cosaa?! Davvero?!” chiese stupito Gustav, mentre tutti gli altri si appoggiavano l’uno all’altro per uno strano dolore all’altezza dello stomaco, dovuto alle troppe risate.
“Si Gustav davvero. Le forme del mio pennarello sono fuori dalla norma, l’ho letto sul giornale di Vanity Fair. Dicono che le statistiche parlano chiaro, ed io rientro in questa graduatoria.”
Il volto di Gustav perse l’entusiasmo di pochi minuti prima, si gettò sul divano arrabbiato incrociando le braccia al petto, prendendo ormai la consapevolezza che quello era per Tom, solo un altro pretesto per raccontare al mondo le sue prestazioni, o meglio le caratteristiche delle sue parti basse.
“Sei un bastardo Tom. Io ci ho creduto!” Saki ebbe un momento critico, pensando di poter buttare fuori dalla bocca tutta la saliva che il suo corpo contenesse, ma ciò che raggiunse fù solo il poter bagnare la maglietta di David completamente, iniziando successivamente a ridere come mai aveva fatto in vita sua.
“Comunque, torniamo alle cose serie, la somiglianza tra di loro non è normale, questo è un nuovo caso per ‘C.S.I Listing’!” Tom si sistemò la visiera del cappellino assottigliando gli occhi verso l’amico entrato in uno stato di “Attore provvisorio”.
“Scusa ma tu non eri Dottor Listing? Da quando sei diventato anche un poliziotto?”
“Da quando in questa band si aggira un alieno di nome Bill Kaulitz! E poi.. io posso essere chiunque, ho l’attestato!” Georg cercò veloce tra le tasche del suo pantalone l’attestato preso in causa, che tutto era, tranne un documento valido per dargli la possibilità di ricoprire il ruolo di tutti i personaggi televisivi che desiderava interpretare, il foglio infatti era solo un pezzo di carta inciso sul computer di Gustav qualche mese prima, prendendo le false spoglie di un commissario di polizia specializzato in gossip . Ciò accadde il giorno in cui si era accorto che Natalie aveva quasi sempre un senso di nausea immediato e veloce come una lepre si chiudeva in bagno per minuti interminabili, ciò che alla fine si rivelò un’ intossicazione alimentare.
“Georg il tuo attestato è solo un pezzo di carta senza nessun valore.”
“Tom smettila di rovinare i sogni di Georg! Lo sai che è un reato?” Bill sbuffò ancora una volta iniziando a pensare che le persone con il quale aveva vissuto per anni, fossero stati rapiti e rimpiazzati con persone qualificati in ruoli da circo.
“Ecco Saki ha ragione! E’ un reato Tom e poi è più che valida!”
“Certo, l’ultima volta ci hai costretti tutti a seguire quella maledetta dieta.”
“Non me ne parlate! Il mio stomaco ci ha messo mesi per abituarsi al suo stato normale!” si lamentò il batterista alzando le braccia al cielo.
“Ok, ma adesso stiamo uscendo fuori caso.. qui si parla di Bill e sulle sue anomalie che dobbiamo scoprire.” Suggerì Tobi battendo una mano sul tavolino in vetro. Tutti annuirono e voltarono lo sguardo sul moro intento ad osservare le sue amate unghie e contare le sfumature di bianco irregolari, quella sera due ore di manicure non glie le toglieva nessuno.
“Tobi ha ragione. Torniamo al caso. Tom, sei sicuro di essere il suo gemello? Oppure dobbiamo indagare anche su di te?” Tom scoppiò a ridere lanciando – senza volerlo – la lattina di coca cola sulla maglietta di Gustav seduto tranquillo davanti a lui.
Da quel momento erano passate quattro ore prima di dichiarare che Bill era il nipote acquisito di Clark Kent, Tom era davvero il suo gemello ma solo una parte dei poteri alieni si era iniettata nel suo sangue raggiungendo le parti basse e che la somiglianza tra lui e la protagonista della discussione fosse una coincidenza del destino
.

Lo stesso destino che gli aveva cambiato la vita per sempre.

Un gemito strozzato riportò la mente del cantante alla realtà, appoggiò le ginocchia sul pavimento freddo e si portò in avanti avvicinando il volto accanto alla guancia liscia e candida come una nuvola del corpicino disteso sul lettino.
“Tesoro, sono qui.” Le sussurrò sottovoce. Lei strizzò le palpebre qualche volta prima di schiuderle completamente. La luce forte del lampadario bianco, puntato sul suo volto la infastidì spingendola a richiudere gli occhi subito dopo cercando la calma giusta per mettere a fuoco le immagini intorno a lei.
Ma quella voce era conosciuta. Anche troppo.
“Sono qui piccola, va tutto bene adesso.” Bill le afferrò la mano stringendola forte nella sua iniziando ad accarezzarle il dorso lentamente cercando di tramandarle la sua sicurezza e protezione. Se lo era promesso.

Il giuramento di una vita, per un’altra.

“Mh.. dove.. dove sono?” la sua voce sempre acuta si era trasformata in un sussurrò, quasi impercettibile, così silenzioso che solo le orecchie di Bill erano in grado di sentire e capire.
Il moro scosse la testa lentamente sentendo un leggero bruciore all’altezza delle pupille, il senso di colpa ormai era troppo alto per riuscire a fermarlo, lo stomaco si contorceva mille volte senza trovare lo stato ottimale per evitare un prolungamento del dolore, mancavano pochi minuti e si sarebbe messo a piangere, se lo sentiva, si conosceva.
“Sei stata poco bene tesoro, qualche giorno e torneremo a casa.”
“Anche tu? Vieni con me?” il cuore di Bill ebbe un sussulto, come poteva lasciarla sola adesso? Ora che aveva capito di trovarsi in pericolo e che per stare bene aveva bisogno di lui ad ogni costo, come poteva lasciarla a casa? Semplicemente non poteva.
“Si. Anche io.” Il crestato abbassò colpevole il volto verso il basso mordendosi nervosamente il labbro inferiore maledicendo il momento in cui aveva deciso di poterla lasciare con Simone, al posto di portarla con sé in Spagna. Un tocco leggero e dolce come il miele sulla sua guancia lo fece sobbalzare e la voce leggiadra e morbida, quanto la sua, gli addolcì il cuore come nessuno era riuscito a fare fino a quel momento, escluso Tom ovviamente.
“Papà?”
“Dimmi amore.”
“Ti voglio bene.” Bill sorrise con le lacrime agli occhi, si alzò in piedi appoggiando le labbra sulla fronte della figlia troppo piccola per riuscire a capire cosa, all’esterno di quella piccola stanzetta d’ospedale le aspettava per ottenere la vera felicità.
Non avrebbe mai immaginato un futuro senza di lei, non in quella realtà almeno.

Quando Helena gli aveva detto di essere rimasta incinta la sua realtà da rockstar si era trasformata radicalmente, non immaginava di poter diventare padre a soli vent’anni ma quella notizia inaspettata aveva travolto tutti, persino i tecnici della band allo scadere del settimo mese di gravidanza si erano presentati alla porta di villa Kaulitz con regali vari per la bambina in arrivo.
Bill aveva chiesto espressamente di annullare tutti gli impegni della band per dedicarsi alla ragazza, niente interviste, niente servizi fotografici, niente apparizioni. In quei mesi voleva concentrarsi solo sulla bambina e su ciò che avrebbe dovuto fare al suo arrivo. Tom invece, aveva preso malissimo la notizia. La sua relazione con Bill continuava da qualche anno e sapere che Helena aveva chiesto al suo ragazzo di aiutarla a rimanere incinta lo aveva sconvolto, come aveva potuto accettare? Sapeva benissimo che Bill non poteva rimanere incinto, ma sapeva anche bene che l’azione che il moro aveva fatto era stato un semplice gesto d’affetto e di aiuto per lei.
Helena, era cresciuta con loro da quando avevano circa cinque anni, aveva vissuto con loro le sue prime scoperte sentimentali e sessuali, aveva scoperto cosa significava amare, aveva scoperto il vero significato di amicizia e anche quando aveva iniziato a sentirsi debole come un essere senz’ossa Bill e Tom avevano preso il primo aereo per la Germania catapultandosi al suo fianco durante la prima visita oncologia.
“Signorina, non so come dirglielo.” Aveva detto il medico stringendo tra le mani la sua cartella medica. L’uomo teneva costantemente lo sguardo basso evitando di farlo scontrare con i presenti nella stanza, quello che aveva da dire non era positivo, non era confortante e i sintomi della ragazza lo portavano al peggio.
“Cosa.. succede dottore?” chiese nervoso Bill stringendo forte la mano della giovane seduta accanto a lui. Il suo volto aveva perso la vitalità di una volta, le sue labbra sempre rosee e candide erano state rimpiazzate da un colore bianco e violaceo, era ovvio. Qualcosa non andava.
Solo dopo aver insistito il medico rivelò la vera motivazione per il quale Helena non mangiava, non rideva, non parlava. Helena soffriva di una rara forma di leucemia, la stessa malattia che dopo la nascita di Milly la portò via per sempre.
Bill ricordava ancora le parole dell’amica di ben cinque anni prima.

Si trovavano insieme sulla riva del fiume, il cantante aveva trovato una settimana di riposo tra i suoi impegni discografici e vari concerti per dedicarsi all’amica.
Trovarsi in quella situazione non era semplice, doveva Trovarsi in quella situazione non era semplice, doveva dosare tutte le parole che poteva usare, non doveva fare nessun riferimento alla sua malattia e sul suo futuro, semplicemente si trovava nel limbo tra la vita e la morte.
Non c’èra scadenza, il peggio sarebbe arrivato in ogni momento, senza preavviso.
“Bill.. devo chiederti una cosa.” Aveva detto lei alzando il volto al cielo, la chioma di capelli castani ricci si lasciavano cullare dal vento caldo di Agosto mentre il sole era prossimo a tramontare dietro le montagne verdi.
“Dimmi Helena.”
“Hai mai pensato di avere un figlio?” se c’èra una cosa che Helena voleva con tutte le sue forze era avere un bambino tutto suo, suo e della persona che l’avrebbe amata. Ma sapeva benissimo che con la sua malattia diventata pubblica sui casi rari del giornale medico sparso per tutta la città, nessun ragazzo le si era avvicinata, anche solo per chiederle che ora fosse.

Era diventata una cavia da laboratorio.

“Certo, ma.. lo sai vero?” Helena sapeva che Bill e Tom stavano insieme, quando il moro glie lo aveva confessato, lei aveva sorriso, gli aveva dato un bacio sulla guancia e gli aveva detto quanto fosse felice per lui, trovare un ragazzo speciale e allo stesso tempo orgoglioso, perverso e dolce nel cuore, era come trovare un’ ago in un pagliaio.
“Si. Si lo so. Io invece.. penso che non potrò mai vedere mio figlio, non potrò stringergli le mani mentre cerca di fare i primi passi, non potrò sentirgli dire la parola mamma, non potrò vederlo con la sua prima fidanzatina o fidanzatino, non potrò stargli accanto mentre ha la febbre. Non potrò essere madre.” Bill la guardava attento senza trovare niente da dire, cosa poteva dire alla sua migliore amica prossima alla morte? Cosa poteva fare in un momento simile?
“Non dire così, troverai la persona giusta che ti darà questa gioia.”
Helena si voltò lentamente verso il moro scuotendo il capo rassegnata, nessuno le si avvicinava da mesi, nessuno le rivolgeva la parola, nessuno gli chiedeva come stesse, nessuno provava a farla sentire bene in quei mesi d’ inferno. Gli unici che riuscivano a farla sentire bene, erano Bill e gli altri. David l’aveva portata di nascosto al loro secondo concerto internazionale facendole vedere quanta energia e passione i ragazzi, riuscivano a scatenare, solo in quel momento osservando Bill aveva pensato che solo lui poteva darle ciò che desiderava prima di morire.
“No Bill. Non succederà lo sai anche tu. Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi.” I raggi del sole erano diventati color rosso fuoco e dolcemente accarezzavano il volto del cantate mettendo in ombra parte dei capelli, le sue labbra sottili richiamavano le sue come una calamita e il desiderio di poter ottenere ciò che desiderava era diventato come una droga per lei.
“Io.. Bill, vorrei che tu mi aiutassi ad esprimere un mio desiderio prima di..”
“No! Non dirlo! Non voglio! No!” Bill nascose il volto tra le mani nascondendo alla giovane alcune lacrime che iniziavano a colargli dagli occhi, non voleva che la sua fragilità si addossasse su di lei, non voleva darle un dolore ancora più grande.
La ragazza appoggiò le mani su quelle del crestato cercando di guardarlo in volto.
“Bill.. lo sai anche tu, prima o poi accadrà ed io voglio solo avere una cosa prima di andare via.” Il moro era entrato in una crisi di pianto, tremava come un bambino e scuoteva la testa capriccioso cercando di scacciare via dalla sua mente ogni pensiero negativo.
“Bill.. aiutami.” Il crestato svelò alla luce del sole ormai tramontato le sue lacrime calde, afferrò le mani di Helena e la guardò dritto negli occhi in segno di assenso, se poteva aiutarla, avrebbe fatto di tutto.
“Io vorrei.. rimanere incinta.” Quella proposta però era fuori dai suoi piani, avrebbe dovuto fare l’amore con lei? Farla rimanere incinta? Avere quindi.. un figlio?
“Io..” balbettò.
“Si lo so, è una richiesta strana, ma non troverò mai nessuno dolce e capace come te di esaudire questo desiderio, se resterò incinta e.. morirò, non voglio che tu ti prenda cura del bambino, non voglio darti problemi, voglio semplicemente essere felice per un po’.”
Quella sera Bill si trovava in serie difficoltà. Doveva scegliere tra Helena e Tom. Quando il cantante si era ritrovato sul divano di casa a raccontare la sua discussione con Helena, di fronte agli occhi sconvolti di Tom, Georg e Gustav, niente nel suo cervello sembrava connettersi nel posto giusto.
Il rastato non aveva risposto, era rimasto per tutto il racconto in silenzio mordendosi il labbro inferiore nervoso, Georg aveva fatto cadere la tazza di cioccolata calda sul pavimento e Gustav aveva annuito capendo le richieste della ragazza.
“Secondo me dovresti accettare.” Suggerì.
“Gustav, metterla incinta vuol dire che in un modo o nell’altro io avrò un figlio. Un figlio che non è..” Bill posò lo sguardo sul fratello rimasto immobile sulla poltrona, i suoi occhi non avevano emozione, dalle sue labbra non usciva un respiro e la sua espressione non era di certo, di pura felicità.
“Di Tom. Ma Helena ci tiene.. e non sappiamo quanto tempo le rimane.” Continuò il batterista.
“Lo so.. ma.. Dio.” Bill lasciò cadere il capo tra le mani iniziando a piangere, non poteva scegliere perché in ogni caso, qualunque persona ci fosse stata al posto di Helena lui avrebbe scelto Tom.
Il gemello si alzò all’improvviso dalla poltrona e con passo lento si mise seduto accanto al fratello, posò una mano sulla sua spalla e con voce stanca disse “Devi farlo. Mi ci vorrà un po’ per accettarlo, ma va bene ad una condizione.”
Il crestato annuì senza guardarlo mentre le sue spalle tremavano a causa dei singhiozzi.
“Se mai Helena, dovesse lasciarci, la bambina o bambino che sia, dovrà rimanere con noi. Alla fine, quello che sei tu, sono io. Sarà anche figlio mio.” Georg e Gustav lasciarono crollare le loro mandibole fino al pavimento, entrambi conoscevano l’attaccamento morboso di Tom nei confronti di Bill e mai per nessuno al mondo gli avrebbe concesso questa opportunità, e peggio dover crescere da soli un essere innocente.


Bill era rimasto per qualche ora in compagnia della figlia che impaziente si era gettata sulle sue gambe in cerca di coccole e bacetti, cosa che Bill non le negò nemmeno per un secondo, aveva passato tutto il tempo a raccontargli gli scherzi che i suoi zii gli avevano fatto durante i concerti, le battute idiote di Tom mentre indossava gli abiti di scena e le improvvise cadute di Georg durante i soundtrack, Milly ascoltava attenta cercando d’imprimere nella memoria ogni atteggiamento, movimento o i cambi di voce del padre senza interromperlo per un attimo, le sue facce buffe riuscivano a farla sorridere come nessuno era in grado di fare, escluso Scoopy Doo ovviamente, il suo idolo nel mondo dei cartoni animati.
L’assenza di Bill nella sua vita era rilevante, spesso si ritrovava ad osservare la sua cameretta tappezzata dai poster con sopra impresse le facce enormi della band, iniziare a parlargli come se potessero ascoltarla e aiutarla in ogni momento di solitudine, cosa che non accadeva mai.
Aspettava paziente di sentire le loro voci per ore interminabili, fin quando la nonna Simone non entrava nella stanzetta e richiamarla alla realtà, cadere sulla terra e sentire il dolore della lontananza della sua vera famiglia, gli mancava vedere papà Bill alle prime ore del mattino con i capelli arruffati e il trucco sbavato, gli mancava osservare Zio Tom mentre suonava la sua chitarra, triste, seduto sul letto matrimoniale, gli mancavano gli scherzi di Zio Georg, gli mancava sedersi sulle gambe di Zio Gustav e suonare con lui la sua batteria, gli mancava la vera felicità, gli mancava il bacio della buona notte, gli mancava buttarsi in piscina mentre Bill la reggeva dal salvagente rosa, gli mancavano le urla di Zio Tom mentre litigava con il suo papà.
Gli mancava tutto di loro.
Gli mancava saltare sul lettone del padre per svegliarlo e ascoltare la sua voce assonnata pregarla mille volte di smetterla, prima di afferrarla per i fianchi e farla volare come Jumbi.
Vivere senza la sua famiglia era dura, soprattutto per lei.
Le sue amichette a scuola non facevano altro che chiederle notizie sull’andamento della band, i loro genitori facevano di tutto per accaparrarsi la sua simpatia per poter entrare in casa e scattare qualche foto alle camere dei ragazzi, senza contare che alcune bambine della scuola cercavano di renderle la vita impossibile, riempiendo le sue giornate monotone con gli scherzi più assurdi, battute poco carine e azioni che le avevano distrutto il buon umore di sempre.
L’ultima volta che era andata a scuola, dopo che nonna Simone la baciò sulla fronte come al solito, entrò nella classe andando in contro alla sua amichetta del cuore, l’unica che in quell’ammasso di invidiosi riusciva a starle accanto senza preoccuparsi del suo cognome noto dal mondo intero. Subito dopo la lezione di artistica si era alzata dalla sediolina prendendo in spalla il suo zainetto rosso con su impresso Winnie The Pooh - il famoso zainetto che zio Gustav le aveva regalato alla vigilia del suo primo giorno di scuola – e s’incamminò particolarmente allegra verso l’armadio dei disegni per prendere il suo. Ciò che vide però, non era proprio quello che si aspettava, sulla parete interna metallica vi era un foglietto con sopra colorato una bambina, che doveva rappresentare lei, un uomo alto con la cresta - lo riconobbe subito - e accanto ad esso, c’èra un altro uomo con le treccioline nere - anche per lui fù facile capire chi fosse – e sotto i tre, una frase breve tale da spezzarle il cuore in tanti piccoli pezzi “Milly, il suo papà e lo zio, ma la mamma?” e intorno tante frasette tipo “AHAAHA”. Milly richiuse con rabbia l’armadietto iniziando a correre verso l’uscita dell’asilo, non voleva rimanere lì un minuto di più.
Bill le aveva spiegato tutto, riguardo la sua mamma, e sullo zio Tom.
Gli aveva spiegato con pazienza la storia di Helena, la ragione per il quale ogni tanto trovava Bill e Tom baciarsi sul letto prima di andare a dormire, la ragione specifica dei loro atteggiamenti intimi senza telecamere, il discorso complicato che le aveva fatto, era riuscita a comprenderlo, diversamente da nonna Simone che rimasta tutto il tempo dietro la porta della cucina aveva ascoltato ogni sua parola per poi iniziare ad urlare come mai aveva fatto fino a quel momento, forse.. l’unica volta che l’aveva vista così arrabbiata era successo quando per sbaglio, aveva rotto il vaso di murrina sul tavolo del salotto, ma poco dopo si era calmata dicendole che ci avrebbe pensato il suo papà a ricomprarlo e riparare al suo danno, rimediabile con una carta di credito intestata al cantante.
La vita di Milly era decisamente una vita che non le spettava.
Bill notò subito il viso triste della figlia persa nei ricordi, le accarezzò i capelli dolcemente attirando la sua attenzione, le baciò ancora una volta la fronte iniziando a dondolare le gambe per farla sorridere.
“Che hai piccola mia?”
“Papà.. ti ricordi quando mi hai parlato della mamma?” Milly portò una manina sulla guancia calda di Bill accarezzandola lentamente, come se in qualche modo avesse voluto addolcire le sue parole, sapeva che quell’argomento era doloroso per lui e per gli altri zii, ma la curiosità per una bambina di cinque anni, non è mai troppa.
“Si.” Disse triste Bill. “Perché?”
La piccola abbassò il viso tirando su con il nasino, poi improvvisamente portò le mani sul volto nascondendo agli occhi del padre alcune lacrime pronte a scendere dai suoi occhi azzurri. Erano identici ai suoi, Helena aveva lasciato un’ impronta marcata sull’esistenza di Milly, anche se per il resto era la copia esatta di Bill.
“Ehi amore, che succede? Cosa è successo?” esclamò il moro agitato, vederla piangere e soffrire gli provocava una fitta profonda al centro del cuore, iniziando a farlo sanguinare dolorosamente. Afferrò lento le manine della bambina scoprendo alla luce fioca del sole, prossimo al tramonto, osservando le linee del suo faccino triste sprofondando in due occhioni azzurri come il mare essersi arrossati per via delle lacrime.
“Papà.. l’altro giorno a quola.”
“Scuola ,amore.” La corresse Bill sorridendo. Milly battè irritata una mano sulla spalla di Bill, sbuffando. “Quola!” ripetè con forza.
“Amore.. S, C, U, O, L, A!” il moro rise vedendo quanto tenera fosse la piccola che teneva tra le braccia, non avrebbe mai dimenticato il giorno della sua prima parola.

Bill era appena uscito, quando Tom scese al primo piano della loro villa ad Amburgo. Era stata una notte accesa quella passata, e non desiderava altro che un caffè bollente e una sigaretta mattutina, la combinazione perfetta dopo aver passato la serata e la mattina tra le braccia dolci e calde di.. Milly.
Esatto, Tom aveva trascorso tutto il giorno a prendersi cura della bambina, mentre Bill era rimasto con David e Gustav allo studio di registrazione per sistemare lo scandalo appena arrivato. Alcuni giornalisti avevano scattato delle foto che ritraevano il cantante famoso che usciva dall’ospedale con un fagotto rosa tra le braccia, mentre lui era intento a portare tutte le borse che contenevano i regali da parte di Georg e Gustav per la nascita della piccola, erano così tante e gonfie che non riusciva a vedere nemmeno dove metteva i piedi, tanto che improvvisamente si trovò sbattuto a terra con il sedere dolorante e tutte le tracolle sparse per il marciapiede, senza pensare ai pannolini e ciuccetti vari che lo circondavano. Ovviamente i giornalisti lasciarono pubblicare le fotografie incriminate su tutti i siti web esistenti e tutte le reti televisive locali con la ‘pazza’ idea che quella bambina potesse appartenere al moro come figlia legittima.
Tom si passò una mano tra i capelli disperato, non ci capiva più niente. La cucina era colma di biberon e calzine minuscole, l’angolo cuttura era sporco di latte e sulla televisione il pupazzo di un cagnolino bianco sembrava essersi tramutato in un soprammobile, visto che le sue piccole zampette dondolavano beate davanti lo schermo spento. Quella di certo, non sembrava più casa sua, ricordava la cucina come il suo habitat naturale, il frigo di solito era strapieno di cioccolate, caramelle, orsetti gommosi, red bull e birra, ma da quando Milly aveva fatto il suo ingresso nella sua vita e nella sua casa, tutto era cambiato.
Persino Bill aveva assunto un comportamento da mamma, abbandonando i vestitini sexy per una notte focosa sul divano e vari preliminari davanti al caminetto, per lui ormai non esisteva altro che la bambina e il modo perfetto per farla vivere con serenità, come una bambina normale:
“Non voglio che sia discriminata solo perché è m…” Bill si era bloccato subito, notando che le parole che stava usando, non erano quelle più adatte. Tom, aveva preso bene la notizia della sua notte “d’amore” con Helena, ma vedere un fagotto dormire a due passi dal suo letto, sentire le sue urla nel cuore della notte, doversi alzare a preparare il latte per farla dormire, cullarla davanti alla finestra per farla addormentare, non era proprio nei suoi piani.
“E’ anche mia Bill.” Aveva detto lui abbassando lo sguardo triste.
“Scusami Tomi. Scusami.” Bill gli si era messo a cavalcioni, mentre Tom continuava a guardare la partita della Germania, anche se in fondo, non la stava davvero guardando.
“Io non volevo.. io.” Tom lo zittì con un bacio, iniziando ad accarezzargli la nuca per farlo tranquillizzare, sapeva che non era colpa sua, sapeva che la scelta che avevano preso era quella giusta, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dire a Milly, che il suo papà stava con un’uomo piuttosto che una donna con un seno da paura, sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma fino ad allora voleva godersi i pochi momenti d’intimità con Bill, almeno fin quando Bill appunto, si sarebbe concesso.
Tom si lasciò andare nel bacio, accarezzando con i polpastrelli callosi la pelle calda e diafana del gemello, portò poi la mano libera su di una natica stringendola forte nel palmo, sentendo un gemito strozzato da parte di Bill, quasi acuto, ma delizioso da sentire. Fù proprio in quel momento che il “Baby Control Video Digital” iniziò a squillare mostrando sullo schermo la piccola Milly intenta a piangere con il ciuccio stretto tra le dita paffute.
Tom lasciò cadere esausto le braccia sul divano sbuffando, mentre Bill ridendo lo baciò un’ultima volta sulle labbra per salire al piano di sopra, prendere in braccio la piccola e cullarla pazientemente tra le braccia per farla dormire.
La sua voce, di certo, era il mezzo migliore per farla addormentare.
Già. Milly era entrata nelle loro vite e per lui, non era risultato un grande problema, avere quella bambina tra i piedi mentre suonava lo faceva stare bene, ascoltare le sue storie sui cartoni animati era piacevole, correre in camera sua per scacciare via i mostri dal suo armadio era divertente, rimanere in astinenza per due mesi e mezzo, forse un po’ meno.
No. Ripensandoci era una tragedia.
Quando Georg sentì alcuni ansimi provenire dal bagno e la voce di Tom invocare il nome di Bill, iniziò a pensare il peggio. Quello non era un problema dei gemelli, le sue povere orecchie lo potevano confermare, soprattutto quando nel Bus Coach, i due si perdevano tra effusioni spinte al secondo piano, intanto lui e Gustav con le cuffie dal volume altissimo ascoltavano i notiziari più assurdi, senza contare i telefilm da ragazzetti che la tv trasmetteva in quella fascia oraria.
Gustav si era sorbito tutta la seconda stagione di Dawson’s Creek mentre Georg aveva assistito alla nascita del nuovo figlio di Bruk avuto da Erik, padre di Rig e figlio di Stefanie.
Tom si preparò il caffè sbadigliando, sistemò con cura la macchinetta sul fuoco e con la mano libera aprì il pacchetto delle sigarette per poi portarsene una alle labbra. Lasciò che la macchinetta del caffè fece il suo corso e si accese la sigaretta aspirando profondamente. Se Bill lo avesse scoperto a fumare in cucina avrebbe potuto persino ucciderlo. “TOM! NON SI FUMA IN CUCINA!” urlava sempre quando lo scopriva in accusa di contaminare l’aria pura con un’ elemento poco gradevole alla salute della bambina, ovvero il fumo.
Si appoggiò stanco al bancone della cucina continuando a fumare, quando sentì un leggero rombetto provenire dalla macchina del caffè, trattenne con le labbra la sigaretta scolando l’essenza nera nella tazzina vuota sul tavolo, vi versò dentro una buona quantità di zucchero e si spostò verso a sedia, il suo petto scolpito ebbe un fremito quando una scia di vento freddo penetrò dalla finestra sbattendosi violentemente sulla sua pelle ancora tiepida.
Si mise seduto alla sedia a capo tavola iniziando a bere il caffè caldo, esalò un sospiro stressato e tirò ancora una volta dalla sigaretta tenuta ferramente tra il medio e l’indice della mano destra.
“Questa è vita.” Pensò sorridendo, gettando la testa all’indietro.
Purtroppo il chitarrista non ebbe il tempo necessario per godersi quelle poche parole, visto che il Baby Control aveva iniziato a squillare, mostrando sullo schermo la culla bianca, con le grandi tende velate, dove la piccola Milly piangeva agitata.
Tom saltò sul posto versandosi addosso tutto il caffè bollente.
“CAZZO! PORCA PUT..!” sospirò profondamente cercando di non perdere la pazienza, contò fino a cento e si alzò lento dal tavolo, afferrò veloce uno strofinaccio e si pulì velocemente, notando un’enorme chiazza rossa sull’addome e qualche goccia marrone sul pavimento, pulì anche quelle e corse verso la scala che portava al secondo piano.
Sfrecciò verso la camera di Milly e ci si catapultò all’interno, avvicinandosi al margine della culla. Milly piangeva ancora stringendo forte le manine in due pugni ai lati della testa, gli occhi stretti in due fessure e le gambine bloccate in una tutina a pagliaccetto giallo, scalciavano con forza.
Tom si abbassò, entrando con mezza parte del busto nella culletta, portò le mani sotto le piccole braccia della bambina e la tirò a sé con la massima delicatezza.
“Ehi piccola.. cosa c’è che non và?” Milly continuava a piangere e dimenarsi tra le braccia forti di Tom, osservava i suoi occhi disperati e in fondo iniziava a sentire un certo piacere nel vederlo impedito e impacciato con lei, la faceva sentire.. forte. Con papà Bill invece, si sentiva in paradiso, il moro la stringeva dolce tra le sue braccia, con pochissime parole sapeva tranquillizzarla, le cantava le canzoni che scriveva nei pomeriggi liberi - anche se pochi - e le accarezzava dolce le guanciotte dicendole che era l’unica donna della sua vita.
Bhè in fondo, era vero. Bill amava solo Milly, oltre Tom ovviamente.
“Dai dai non piangere. Tomi è qui.. cosa vuoi? Un pupazzo?” il chitarrista afferrò il primo pupazzo sotto mano e glie lo parò davanti come un trofeo, quello però non fece altro che aumentare le urla della piccola.
“Ok, niente pupazzo, hai fame?” con pazienza, prese il biberon ancora caldo – lo aveva fatto solo un’ora prima - e glie lo portò alle labbra ma anche quello non sembrava ciò che Milly desiderava.
“Ok, niente pappa, non dirmi che.. no. No Milly! Io non ti cambio eh!” Tom alzò in aria la bambina, avvicinando timoroso il naso al sederino,bhè.. in effetti un cattivo odore emanava, ma Tom era stato abbastanza chiaro con Bill alla sua nascita, LUI NON CAMBIAVA PANNOLINI.
Solo in quel momento però, notò che le urla di Milly erano cessate, anzi.. al contrario la bambina aveva iniziato a ridere portando le braccia al cielo.
“Maledetto Bill e quando ti ha insegnato a volare!” pensò il moro. “Quindi è questo che vuoi? Volare come fa papà Bill?” disse Tom alla bimba che con la boccuccia aperta rideva di gusto, alzando le gambine a mezz’aria, come le aveva insegnato Bill.
Tom si lasciò trascinare dalla dolcezza della bambina e iniziò a ridere facendola volare nello stesso, identico modo di Bill, sperando di non dover continuare così fin quando non si fosse addormentata, Milly rideva felice lasciando uscire dalle piccole labbra una risatina acuta e fari mugugni gioiosi. Doveva ammetterlo, quella bambina era pestifera, era arrogante, era viziata, ma era estremamente dolce.
“Oh cazzo no! Milly!” urlò Tom, quando un rivolo di saliva gli cadde sul torace. Riportò la bimba tra le braccia stando attenta a non farla cadere mentre la bambina continuava a ridere divertita.
“Ah è così.. ti faccio ridere eh!” disse Tom severo. Milly smise di ridere e lo guardò seria, portò il labbro inferiore in avanti iniziando a farlo tremare, i suoi occhi si colmarono di lacrime e il povero Tom entrò nel panico.
“No no! Non piangere! Và tutto bene, ci pensa papà Bill a pulirmi!” rise al pensiero di sentire la lingua di Bill scorrere sulla sua pelle ma tornò serio cercando di far sorridere di nuovo la piccola “Allora.. vediamo, cosa vuole fare sua maestà oggi? E non sono ben volute le passeggiatine al parco, oggi fa troppo freddo.” La bimba si portò un dito alle labbra pensierosa, ciò fece sorridere di nuovo il treccinato. Era identica a Bill, in ogni sguardo, in ogni atteggiamento, anche quando dormiva assumeva le stesse posizione ed espressioni, era uguali proprio come lui e Tom.
“Omì!” esclamò lei posando il ditino immerso nella sua stessa saliva, sul petto del moro.
“Cosa?!” Era impossibile, Milly aveva parlato! Stava per dire la sua prima parola e quell’idiota del fratello era uscito alle sei per andare da David! Tom corse velocemente nel salotto, stando attento alle scale, afferrò il suo telefono –che sembrava un computer – azionò l’impostazione come video per riprendere il momento straordinario e sistemò con cura la piccola sulla sua gamba sinistra incitandola a parlare.
“Cosa piccola? Cosa hai detto?” Milly lo guardava confusa inclinando la testa su di un lato con ancora il dito sulle labbra.
“Dillo a Tomi.. cosa hai detto prima?” la incitò ancora emozionato.
“Omi!” a Tom mancò un battito, stava dicendo il suo nome, la sua prima parola era il suo nome!
“Oh piccola.” La strinse forte a sé, sentendo il tonfo leggero del telefono cadere sul tappeto color nocciola, Milly rideva felice strusciando il musino sulla spalla del chitarrista sporcandola ancora, di saliva.
“Omi! Omi! Omi!” la bimba disse quel nome per tutto il giorno, quindi il video di Tom non servì poi a tanto – anche se Bill, Georg e Gustav lo passarono sui loro telefoni per vederlo quando volevano -. Bill era emozionato e felice allo stesso tempo, Milly aveva fatto la scelta giusta, pronunciare il nome di Tom come sua prima parola era bastato per far nascere un legame forte e saldo tra lui e la piccola.


“Q.U.O.L.A!” disse con precisione Milly. Bill scosse la testa dandole l’ennesimo bacio sulla fronte.
“Non importa amore, imparerai come Tomi ha imparato ad usare il cerchio del water prima di fare pipì!” la bimba rise asciugandosi le lacrime con la manica del pigiamino rosa. Solo il suo papà sapeva renderla la bambina più fortunata del mondo, lui c’èra quando faceva un brutto sogno, lui c’èra quando cadeva nel giardino di casa, lui c’èra quando non sapeva farsi le codine, lui c’èra quando la mattina dimenticava lo zainetto con la merenda, lui c’èra sempre e questo nessuno avrebbe potuto spezzarlo.
“Allora..” riprese Bill “Vuoi dirmi cosa è successo a scuola?”
“I miei amichetti mi prendono in giro perché non ho una mamma.” Ammise lei tristemente, il moro strinse forte i pugni pensando che il giorno dopo si sarebbe presentato all’asilo con l’intenzione di spezzare le gambe ai mocciosi che si erano permessi di prendere in giro la sua principessa.
“Amore, lasciali stare, tu hai noi, io, zio Tom, zio Georg e zio Gustav.. anzi, fuori hanno un regalo enorme per te, ma non dirgli che te l’ho detto altrimenti mi picchiano!” sussurrò l’ultima frase nel suo orecchio portando la mano sinistra come schermo, come se in quella stanza qualcuno potesse sentirlo. Gli occhi di Milly s’illuminarono facendo nascere due stelline argentate al centro dei suoi occhioni celesti, ciò rallegrò il cuore di Bill.
“Si ma.. papà com’èra la mia mamma?” il cuore di Bill ebbe un sussulto, era forse la millesima volta che glie lo raccontava, ma non era mai abbastanza per lei, voleva imprimere l’immagine della sua mamma nella memoria fino alla fine dei suoi giorni.
“Era bellissima, aveva gli occhi come i tuoi e non si abbatteva davanti a nessuno.. era.. era.. forte come te, era sempre allegra senza lamentele, era unica.” Spiegò il moro accarezzandole i lunghi capelli castani.
“Cosa vuol dire unica?”
“Unica? Vuol dire che non c’è nessuno come te. Che non c’è nessuna persona che può prendere il suo posto, anche tu sei unica piccola mia, la mia unica principessa.” Le gote di Milly si arrossarono, gettò le braccia al collo del padre annusando profondamente il suo profumo di vaniglia, avrebbe potuto rimanere ore, anni, tra le braccia del suo papà, era l’unico capace di farla sentire protetta, in grado di coccolarla come forse, avrebbe fatto la sua mamma.
“Quindi anche Tomi è unico?” chiese lei.
“Si amore, anche Tomi è unico, è molto preoccupato per te sai?” in quel preciso istante qualcuno bussò alla porta, entrambi si staccarono dall’abbraccio ma la bambina rimase comunque sulle gambe del padre in attesa di vedere il regalo enorme dei suoi mitici zii.
“Avanti.” Disse Bill. La porta si aprì con un cigolio e Tom lasciò entrare solo la testa, pensando che Milly stesse ancora dormendo, invece la trovò sveglia e pimpante sulle gambe del gemello con gli occhi lucidi e un sorriso allegro.
“Ben svegliata Milly!” Tom entrò nella stanza chiudendo con calma la porta alle sue spalle, la piccola saltò giù dalle gambe di Bill correndogli incontro urlando “TOMI!”. Il chitarrista si abbassò sulle ginocchia aprendo le braccia quanto potesse per accoglierla in un abbraccio forte e dolce nello stesso tempo, la piccola si aggrappò alla sua maglietta e Tom si alzò in piedi prendendola in braccio con un “Hop!”.
“Allora, come stai oggi?” chiese lui.
“Tom tu sei unico!” Bill rise accavallando una gamba, osservando attento i due intenti in un momento “intimo”, sapeva che Milly aveva pronunciato quelle parole per il semplice fatto che le aveva spiegato cosa significasse a parole sue, quindi in quel caso la bambina stava ripetendo tutto ciò che le aveva detto, riassumendole in una sola parola.
Tom arrossì lievemente baciandole la fronte. “Grazie! Anche tu lo sei.” Milly rise ancora appoggiando la testa sulla sua spalla mentre con le braccia lo stringeva forte, senza avere la minima intenzione di lasciarlo andare.
“Bill le hai detto che..” il gemello però portò un dito sulle labbra in segno di silenzio e scosse la testa triste, come avrebbe potuto lasciarla adesso? Ora che si stava riprendendo, ora che all’asilo i bambini la prendevano in giro, ora che aveva ritrovato la sua fiducia dopo un mese di assenza. Il chitarrista dal canto suo, capì le sue intenzioni e sospirò profondamente continuando ad accarezzare i capelli boccolosi di Milly sulla sua piccola schiena.
“Dimmi Milly, cosa vuoi fare oggi?” chiese Tom al suo orecchio, in modo che Bill non potesse ascoltare. La piccola portò una mano come schermo poggiandola sulla guancia di Tom e iniziò a parlare sottovoce “Voglio fare il cavalluccio sulle spalle di zio Gù!”
“Mmm.. lo sai che zio Gù non ne sarà molto contento?”
“Allora io gli rubo le caramelle nel comodino!” urlò. Bill ascoltò l’ultima frase e si preoccupò delle sue caramelle gommose che teneva segretamente nel cassetto del comodino, senza sapere che anche Gustav faceva lo stesso. Il moro scoppiò a ridere annuendo quando la porta della camera si aprì e un enorme pacco, entrò da solo - ovviamente Georg e Gustav lo spingevano dietro la carta regalo - .
Tom lasciò scendere Milly che entusiasta corse verso il suo regalo curiosa di sapere cosa ci fosse al suo interno, il pacco era abbastanza grande, visto che a lei le arrivava sopra i capelli, accuratamente richiuso in una carta da regalo rosa con un enorme fiocco sulla cima, questo non fece altro che aumentare la sua allegria e curiosità.
Bill sorrise ancora sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio andata fuori posto, Tom invece gli si era avvicinato appoggiando una mano sulla sua spalla per attirare la sua attenzione.
“Non faremo quel concerto vero?” disse d’un tratto.
“Dirò che mi sono sentito male, guardala Tomi.. ha bisogno di noi. Come io di lei.” Ammise osservando Georg che la prendeva in braccio per farla ridere come si meritava.
“Lo so amore. Lo so. Anche io ho bisogno di lei, ma i nostri fan..”
“I nostri fan non possono capire, ha tutto di noi, persino le tue smorfie.” Tom sorrise prendendo la mano di Bill lasciandola incastrare tra le sue dita. Si, erano un’unica persona divisa in tre esseri diversi e questo poteva vederlo con i suoi occhi, anche se Tom non aveva avuto nessun contatto fisico con Helena, il fatto che Bill al suo contrario ci fosse andato a letto, bastava per tramandare sulla bambina anche un po’ di lui.
“E la tua voce acuta.” Aggiunse Tom ridendo. “Tu hai scelto lei, il successo ha scelto noi.” La frase di Tom fù interrotta da un’abbaio acuto e stridulo, un urlo da parte di Milly che diceva “UN CUCCIOLO!” e una frase disperata di Simone che diceva “Io non li pulisco i suoi bisogni!”. Tom abbassò le labbra sulla spalla del gemello sussurrandogli all’orecchio “Ti amo.”
Bill alzò la mano lentamente posandola sulla sua guancia calda “Ti amo anche io Tomi.”
“Sai cosa penso?” aggiunse. Tom lo guardò confuso mentre Milly si lasciava leccare tutta la faccia da un cucciolo di Labrador appena entrato nella loro grande ma unita famiglia, cercò di concentrarsi sul volto del gemello che osservava sorridente la figlioletta persa tra le risate di un regalo inaspettato “Tu hai detto che io ho scelto lei, ma io ho scelto anche te, vivere dietro le telecamere il nostro amore, vivere con il terrore che qualche nostra foto possa comparire sui giornali, starti accanto rinchiusi nella nostra villa e..”
“Bill, cosa vuoi dire?” chiese agitato.
“Voglio dire..” prese fiato “Che io ho scelto Milly, ma ho scelto anche te giusto?”
“Sì, ma continuo a non capire.”
“Tomi, amore.” Bill afferrò la sua mano lasciando incastonare le loro dita in un nodo, unico e forte “Io penso, che voi avete scelto me.”
Tom sorrise ancora una volta commosso, gli baciò le labbra castamente mentre un piccolo cucciolo si avvicinava a lui annusando i suoi pantaloni.
“Non azzardarti sai!” Tutti iniziarono a ridere. Milly osservò attentamente le due figure, il suo papà e.., in fondo non aveva poi così bisogno di una mamma, lei aveva due papà “unici” che avevano scelto lei, come principessa.



Fine.









 
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CAT_IMG Posted on 5/10/2010, 19:57
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...I drove for miles and miles...
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Bellissima! E grazie anche per il video, è stupendo.
 
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