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Di Occhi e Amici., Beyblade, Kai*Takao [Nc-17]

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» Virginio ~
CAT_IMG Posted on 23/9/2010, 18:04




Buondì.

Ho scritto questa fic pensando al colore degli occhi di Kei, che in tre serie cambia continuamente, ed è un mistero per tutti. Così, mi sono dilettata a scriverne. Tutto ciò, infatti è una mia idea, un mio viaggio/sega mentale e non credo abbia riscontri nella serie.

Prima di lasciarvi alla lettura, ci tengo a specificare che uso i nomi italiani abbinati ai cognomi americani. Quindi Max Mizuhara (Jap) invece che Max Mizihara (Ita). "Kei" non ho mai capito come si scriva, ma ammetto che nemeno mi interessa più di tanto. Il concetto e la sostanza ci sono. Come diceva Shakespeare: «Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo.»

In ogni caso, spero che vi piaccia!




Di occhi e amici.







Dopo tanti anni di convivenza, dapprima forzata, ma poi davvero desiderata, Takao poteva affermare di conoscere se non tutti, buona parte dei segreti di Kei.

Questo lo rendeva oltremodo fiero di sé perché tutti sapevano quanto Kei fosse una specie di tomba quando si trattava di parlare anche solo del tempo atmosferico. Takao non solo l’aveva sentito parlare di quello che gli passava per la testa, no, aveva anche sporadicamente assistito a qualche crollo, uno di quei momenti in cui Kei si rintanava in se stesso più del solito, aveva scatti di nervosismo improvvisi e fissava il muro o il soffitto per intere ore. Ormai Takao poteva persino dire che era il modo di piangere di Kei, sebbene l’avesse visto anche piangere, l’aveva sostenuto ed aveva ricevuto amore e tanti piccoli segreti da custodire, tanti piccoli vizi, manie, ideali e pensieri da poter amare ogni volta di più. Kei si fidava di lui e questo rendeva Takao la persona più importante per Kei (all’infuori di se stesso, chiaro). Un titolo che per un giorno solo avrebbe dato via tutti i trofei che aveva tanto sudato nella sua carriera di Blader.

Eppure, ora che lo osservava concentrato nel mettersi una delle lenti a contatto davanti allo specchio del loro piccolo bagno, Takao si accorse che forse conosceva i suoi segreti, ma non aveva mai fatto caso al colore dei suoi occhi. Non sapeva di che colore fossero gli occhi di Kei e prima d’ora non aveva mai fatto caso alla collezione interminabile di lenti a contatto colorate e giornaliere che affollavano il cassetto più basso del loro mobile da bagno.

«Ho finito» mormorò Kei, sorridendogli gentilmente mentre usciva dalla piccola stanzetta.

Avevano un appartamento minuscolo a Tokyo, dove Kei studiava economia e Takao lavorava come “modello” per pubblicità e merchandise. La loro popolarità almeno in questo lo aveva aiutato, cosicché nessuno dei due gravava economicamente sulla famiglia, benché Kei avesse soldi da soffiarsi il naso con banconote di grosso taglio. Takao guadagnava parecchio ed era riuscito a lasciar fuori Kei dal pagamento delle bollette (fortunatamente avevano comprato l’appartamento senza ricorrere a mutui). In fondo l’università costava davvero un occhio della testa.

«Takao?»

Al richiamo si accorse che Kei gli aveva domandato qualcosa, ma davvero non aveva nemmeno ascoltato.

«Sì» rispose sicuro, accompagnando con un sorriso quell’affermazione. Kei lo fissò per un po’, poi sospirò quasi rassegnato.

«Hai accettato, bene. Non me ne frega un cazzo se non sai nemmeno a cosa. Vengo a prenderti in macchina davanti all’agenzia pubblicitaria verso le due di oggi, vedi di farti trovare pronto!»

Sbatté la porta della loro camera da letto, facendo rabbrividire Takao. Forse avrebbe dovuto prestare attenzione le poche volte che Kei parlava, soprattutto se era per informarlo di qualcosa.

Sbuffò entrando in bagno per lavarsi e pregò distrattamente che non si trattasse delle bollette. Quella battaglia lo stava sfiancando, non era mai stato bravo in difesa, dannazione.



Kei tamburellava nervosamente le dita sul volante della loro utilitaria di seconda mano quando Takao riuscì a sfuggire al set fotografico.

«Sono le tre.» lo avvertì Kei mettendo in moto, con fare quasi distaccato; Takao però non aveva davvero voglia di litigare, non per una cazzata come un ritardo, visto che Kei l’avrebbe ucciso per la proposta che gli avevano fatto a lavoro.

«Mi hanno trattenuto per offrirmi un nuovo lavoro. Hanno detto che sono diventato un bel ragazzo.» mormorò vagamente imbarazzato, sperando che Kei fosse così bravo a leggergli dentro da intuire che razza di proposta stava seriamente prendendo in considerazione di accettare.

«Questo è il motivo per cui io ho aspettato là sotto per un’ora intera?» domandò Kei irritato. Bufera in avvicinamento, pensò Takao chiedendosi anche se rinunciare a priori fosse la soluzione più saggia. Oh, beh, lui non era mai stato granché intelligente, figurarsi saggio.

«Circa. Diciamo che mi hanno anche fatto una proposta... che non c’entra niente con i servizi che faccio di solito.»

Kei aveva una guida fluida, molto più di quella di Takao, che ancora s’inceppava sul freno come un principiante, eppure in quel momento a Kei scappò il piede sulla frizione mentre metteva in quinta. Il motore fece il classico rumore da frano-motore mentre Kei sbuffava nervoso e ritornava in quarta per poi mettere finalmente la quinta. Takao, silenziosamente, si rese conto che forse Kei aveva capito.

Il lavoro da “modello” doveva essere un gioco, così avevano deciso assieme qualche anno prima, consci che non sarebbe durato a lungo. Takao si era messo alla ricerca di qualcosa di più stabile, promettendo a Kei di trovarsi almeno un part-time. Per i primi mesi era stato così, poi man mano che il tempo passava Takao aveva smesso di cercare e Kei non aveva mai chiesto nulla, se per indifferenza o fiducia, Takao proprio non avrebbe saputo dirlo.

«Avevi detto che stavi cercando un altro lavoro.»

Takao si sentì un po’ in colpa per aver smesso di frugare in fondo ai giornali, per aver accantonato il proposito quasi un anno prima e si accorse di come, in effetti, era un senso di colpa che si trascinava da tempo.

Non aveva mai mentito a Kei prima ed accorgersi di averlo fatto su una questione come la carriera lo spiazzò.

«Lo stavo facendo, ma non c’è nulla che mi piaccia!»

Con un movimento brusco Kei mise la freccia per uscire dall’autostrada e Takao si accorse che stavano tornando nella cittadina in cui era nato e cresciuto, in cui aveva incontrato quello che poi era diventato il ragazzo che amava.

«Takao, non è un questione di piacere. Non è uno sport, non ti deve piacere! Lo devi fare e basta!»

«Cosa?! Non ho intenzione di fare per tutta la vita qualcosa che odio!»

Benché Takao avesse imparato dopo anni che con un Kei incazzato o sulla via di sbranarti l’unico modo per uscirne vivo fosse tacere e annuire (possibilmente fingendo di essere contrito e spaventato), ancora non sembrava averlo seriamente compreso fino in fondo, visto che puntualmente rispondeva a tono come un bravo idiota.

Kei d’altro canto, sembrò rimanere concentrato sulla strada a lungo, come se in realtà non stessero affatto parlando e la cosa irritò Takao ancora di più. Eppure, con uno sbuffo a metà fra lo stanco e l’irritato, Kei lo mandò a quel paese con un «Fa come ti pare.» che Takao odiò dal profondo.

«In ogni caso, mi hanno chiesto di fare da modello per una specie di calendario di sportivi.»

Questa volta, Kei quasi fermò bruscamente e l’auto dietro di loro suonò più volte il clacson, per poi sorpassarli appena Kei si sposto più verso l’esterno della corsia.

«No.» Scandì Kei freddamente. Takao, se avesse avuto appena un po’ più di buon senso avrebbe taciuto, accettando quella risposta con la coda fra le gambe, perché Kei in quel momento avrebbe fatto paura anche alla persona più coraggiosa del mondo. Ma Takao non era certo famoso per il suo buon senso, purtroppo.

«Hai detto “fa come ti pare” e mi pagherebbero parecchio.»

Kei tacque.



«Hello, my dearest!»

Max gli gettò le braccia al collo e Takao quasi cadde all’indietro per lo slancio dell’americano; appena fu sicuro di non cadere, però, strinse Max con tutta la forza che aveva. Erano mesi che non si vedevano e, anche se si sentivano ogni giorno per mail o uno di quei programmi per computer che gli aveva spiegato il Prof, a Takao mancava immensamente la compagnia del suo migliore amico, che però adesso abitava in America.

«Ciao, Max! Rei!» salutò Takao e lasciò la presa sulla vita del biondo. Rei gli sorrise e li fece entrare nella vecchia casa di Max, dove probabilmente avrebbero cenato quella sera.

«Certo che Rei, potresti farti sentire di tanto in tanto! Non fosse per Max non sapremmo nemmeno se sei vivo o cosa!» esclamò Takao mentre si sedeva alla tavola in cucina.

Rei viveva con Max da circa due mesi, aveva lasciato la tribù della Tigre Bianca, disposto anche a dire addio al suo animale sacro; la tribù però gli aveva conferito una specie di “titolo onorario” lasciandogli Driger senza troppe storie. E tutti sospettavano che ci fosse lo zampino di Mao e Lai dietro a quel privilegio.

Takao, però, tutta la storia l’aveva sentita da un delirante Max al telefono ed era rimasto davvero ferito dall’essere rimasto all’oscuro di tutto. Kei gli aveva dato dell’idiota impiccione in un impacciato tentativo di tirarlo su, ma non era bastato. Gli era sembrato a tutti gli effetti di aver perso un amico. Il fatto che per di più non si facesse mai sentire nemmeno per lettera o mail, aveva aggravato ancora di più la situazione (che Kei continuava a trattare come un’idiozia di poco conto, ostinandosi a ripetergli che era tutto frutto della sua mente intrigante).

«Mi spiace, Takao, ma sono stato preso dal ristorante negli ultimi mesi. E’ dura riuscire ad aprirne uno senza il supporto di uno chef con esperienza.»

Gli rispose con la solita gentilezza Rei, versandogli del tè cinese.

«Piuttosto, come va? Lavoro e università?» chiese Rei, sedendosi con una tazza fumante fra le mani.

Takao lanciò uno sguardo di sottecchi a Kei e lo vide sorseggiare il suo bicchiere (doveva esserci dentro qualche alcolico, dato che quando litigavano Kei beveva sempre qualcosa). Non diede segno di voler rispondere, in ogni caso, quindi Takao indossò la facciata più allegra nel suo repertorio.

«Mah, niente di che! Una noia, tutti quei flash eccetera! Insomma, da dimenticare!»

Max rise mentre poggiava dei dolci sul tavolo e porgeva a Kei la bottiglia dell’acqua.

«Almeno tu devi solo stare fermo! Io sono condannato a correre su e giù per gli stadi di beyblade e le televisioni. Non ce la faccio più!» sbuffò Max sedendosi.

«I tuoi studi, Kei?» chiese Rei mentre Max e Takao cominciavano a far finta di bisticciare per chi lavorasse di più fra i due, sbattendosi in faccia ciò che non andava affatto bene nel mondo dello spettacolo.

«Sono il migliore della facoltà, mi basta.» rispose Kei ignorando il sottofondo; Rei sorrise e prese a parlare delle vecchie conoscenze comuni e ben presto nel suo monologo si intromisero i due litiganti, arricchendo di particolari divertenti le storie.



La cena era stata fantastica, Takao non si fece troppi problemi a farlo sapere a Rei, lo chef d’eccezione. Erano sulla porta e Kei aveva già chiarito che voleva andarsene a casa a dormire e, sebbene Takao non se la sentisse quella sera di condividere gli stessi spazi ristretti ed in solitudine con il suo burbero amante, non volle far preoccupare gli amici restando da loro. Così si salutarono con tanto di abbracci, come se non fosse praticamente certo che Rei e Max si sarebbero fatti trovare nell’appartamento a Tokyo l’indomani.

La macchina si mise in moto silenziosamente e Kei non proferì parola per tutto il viaggio.

Takao non sopportava quella tensione: sapeva di aver sbagliato a mentire a Kei ed era anche disposto a lasciar perdere tutto all’istante se Kei l’avesse preteso, ma davvero, quel trattamento lo stava facendo impazzire. Odiava essere ignorato, ancora di più se a farlo era Kei.

«Ci tieni così tanto a fare il modello? Non mi pare che ti piaccia poi così tanto, visto quello che hai detto a Max.» mormorò Kei ad una ventina di chilometri da casa. Takao sorrise tristemente a quel tono irritato per finta. In realtà sapeva che Kei era preoccupato per lui.

«Non lo so. Quando sento voi mi sembra di odiarlo. Mettete tutti il massimo dell’impegno in quello che fate, mentre io continuo a chiedermi perché lo faccio ancora. Non sono nemmeno bravo.»

Kei lo guardò di sfuggita e sospirò pesantemente. Un modo come un altro per annunciare che le maschere erano cadute tutte ed ora non avrebbero parlato che col cuore in mano.

«Odio studiare, lo faccio perché se voglio prendere in mano le industrie Hiwatari non posso fare altro che cercare di capire come funziona. E non credere che mi piacerà lavorare lì, ammuffire per tutta la vita dietro una scrivania; lo faccio solo perché, oltre ad essere costretto, ci tornerà utile in futuro.»

Takao sbuffò. Lo sapeva fin troppo bene.

«Ma tu hai idea di cosa devi fare. Io non so nemmeno questo!»

Kei tacque per un po’, poi un sorriso leggero affiorò sul suo viso illuminato ad intermittenza dalle luci dei lampioni per strada.

«Sembravi divertirti ad insegnare ai bambini come giocare a beyblade, qualche anno fa.»

Un tuffo al cuore ricordò a Takao esattamente quanto si fosse divertito. Forse presto avrebbe smesso col fare il modello. L’idea non lo dispiaceva affatto, tra l’altro.



«Quindi abbiamo fatto pace?» chiese Takao entrando in casa.

«Non ancora.» replicò Kei, tirandoselo contro. Con un calcio chiuse la porta e baciò Takao che sorrise sulle sue labbra. Non gli dispiaceva nemmeno questo modo di fare la pace.

«Kei, domani devi alzarti presto?» domandò Takao fra un bacio e l’altro, mentre si avvicinavano alla camera da letto. Kei non rispose, ma lo sollevò in braccio per sbrigarsi e lo gettò di peso sul matrimoniale che condividevano. Si baciarono a lungo e con una strana calma, assaporandosi con le lingue, le mani ed ogni centimetro di pelle che riuscivano nel frattempo a svestire.

«Kai, posso chiederti una cosa?» domandò Takao mentre l’interpellato era occupato a togliergli i boxer.

«Dopo.» fu la rapida e disinteressata risposta, seguita da un altro bacio mozzafiato.

Takao non avrebbe saputo dirlo come e quando fosse successo, ma Kei era già nudo davanti a lui. Sembrava famelico quasi. Doveva esserci un chiodo fisso che lo assillava quella sera, perché Kei era meno delicato del solito e lasciava segni un po’ ovunque, fra succhiotti e pizzicotti, morsi e graffi. Non che a Takao dispiacesse, anzi, si chiese più di una volta per quale assurdo motivo prima di allora fosse stato così gentile.

«Sei mio.» mormorò Kei poco prima di accoglierlo nella sua bocca e Takao non riuscì nemmeno ad elaborare l’informazione per il brivido caldo che l’aveva investito, obbligando ad emettere piccoli mugolii di apprezzamento.

«Kei, per favore!» mormorò sconnessamente, desiderando solo di sentirselo dentro, di appartenergli totalmente anche quella sera. Kei si rialzò con calma, dopo aver gradualmente rallentato il ritmo, lo guardò con uno sguardo di un’intensità che mise i brividi a Takao. Infine lo baciò, gli sollevò il bacino e si fece lentamente strada nel suo corpo. Takao era ormai abituato (così come lo era Kei) a quelle intrusioni e non sembrò provare dolore. Tennero un ritmo lento all’inizio, ritrovandosi a desiderare di sentirsi il più a lungo possibile, ma poi dovettero cedere all’istinto e al desiderio che li torturavano, e Kei aumentò precipitosamente la velocità delle spinte.



«Ora posso chiederti la cosa?» domandò Takao, mentre Kei gli si accoccolava contro un fianco, dopo aver ripreso fiato ed aver fatto tappa in bagno. Erano umidi e appiccicosi, ma a nessuno dei due dava più fastidio la sensazione.

«Se proprio devi.» mormorò in risposta Kei, gli occhi socchiusi, già pronto ad addormentarsi.

«Di che colore sono i tuoi occhi?»

Kei si rialzò, lentamente, fissando continuamente Takao. Sbuffò e si sporse verso la presa della luce sopra al comodino. La luce ferì gli occhi di Takao, che però cercò di tenerli comune aperti per poter osservare Kei.

«Grigio.» mormorò Kei a conferma della silenziosa risposta che si era dato Takao. Spense la luce e si riaccoccolò accanto al compagno.

«Non ci avevo mai fatto caso.» continuò Takao, accarezzando i capelli di Kei, che sbadigliò nell’incavo della sua spalla, provocandogli il solletico.

«Porto sempre le lenti.»

«Perché?»

Chiese Takao, ma, senza comprendere lo sbuffo che ricevette in risposta, tacque. Parecchi minuti dopo, quando pensava che Kei stesse dormendo e il sonno aveva già cominciato ad insidiarlo, Kei mormorò la sua risposta con un filo di voce.

«Ho gli stessi occhi di mia madre. Non sopporto di vederli continuamente.»

Questa volta, Takao non fece ulteriori domande, nonostante la curiosità sulla signora Hiwatari lo torturasse impietosamente, e si limitò a stringere con un po’ più di forza i capelli di Kei.

Ecco un altro piccolo segreto da aggiungere alla lista. Un’altra piccola dimostrazione di fiducia che lo rendeva il ragazzo più felice del mondo.





The One Hundred Prompt Project

Tema # 29: Grigio.


Note Finali: Io so che qualcuno mi sta maledendo per la lemon, non so chi, ma so che c'è. Vorrei discolparmi con una scusa brillante, ma mi tocca ammettere che non sono riuscita ad approfondire e tutt'ora penso che avrei fatto meglio a tagliarla, sebbene la fic sia nata con l'unico intento di scrivere una lemon Tyka.

Fatemi sapere cosa ne pensate, visto che non mi dispiacerebbe scrivere ancora su beyblade, ma temo di non aver ancora inquadrato bene i personaggi =S
 
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