E' la prima fanfic che posto, quindi mi raccomando non siate spietate XD spero non vi annoi -cosa molto probabile, visto che tendo a scrivere talmente tanto da diventare esasperante ù.ù. E' solo il primo capitolo, la devo ancora finire ^^
Lui ha nascosto tempo fa le chiavi del suo cuore per non farvi accedere più il tormento dell’amore.
Lei è la luce che ha illuminato la tomba delle sue speranze, facendole tornare a vivere.
Amore.
Solo un fragile fiore che viene spezzato dal vento. Solo la fredda tomba di un sorriso. Un fuoco spento dalla pioggia.
Il lenzuolo di seta copriva il suo corpo come un velo d’acqua, e sembrava attirare nel suo cangiante pallore perlato il riflesso della fiamma che danzava sulla piccola candela al lato del letto. Ville desiderò rimanere lì, avvolto in quel tessuto fresco e impalpabile, e non essere costretto a guardare la persona che giaceva accanto a lui in quel letto ancora caldo. La donna aveva i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino, e dormiva silenziosa. Ville tentò di ricordare il suo nome, ma non ci riuscì. Rimproverandosi per l’essersi lasciato andare così, ancora una volta fuori controllo, scivolò piano fuori dalle lenzuola, lasciando che la loro seta percorresse il suo corpo asciutto come se non volesse lasciarlo. Si chinò, raccolse i suoi abiti e, dopo averli indossati, uscì senza fare rumore da quella stanza d’albergo.
Amore. Non era quello che cercava, ogni volta che si lasciava condurre in un letto da una donna e dava sfogo ad un’anonima passione. Non cercava l’amore, quella sottile certezza che non era altro che una matassa di sogni e illusioni, e che puntualmente veniva spezzata. Cercava una via d’uscita.
MartedìNadine si piegò su se stessa afferrando con grazia il cerchio che aveva lanciato qualche istante prima. Esso era ricaduto nella sua mano come se in essa vi fosse una calamita che lo attirava.
–Brava- disse Fatima, la sua allenatrice, -devi solo avere più fluidità nelle gambe mentre fai questo movimento. Comunque, per oggi abbiamo finito. E’ tutto il pomeriggio che lavoriamo, sarai stanca.
Nadine si asciugò il sudore che le imperlava la fronte ed andò a cambiarsi nello spogliatoio. Fuori ormai era quasi buio, nonostante le giornate si allungassero sempre di più con l’avvicinarsi dell’estate. Attraverso la piccola ed alta finestra della stanza si vedeva la flebile luce del sole che lentamente calava, tingendo la città di un bagliore rosato. Nadine sentiva i muscoli farle male. Erano ancora tesi e doloranti per l’esercizio, ma ormai era abituata a sentirli dolere.
Faceva ginnastica artistica da tempo, ormai. La praticava a livello agonistico da quando aveva otto anni, ed ora che ne aveva diciotto era ancora appassionata a quello sport allo stesso modo. Era parte di sé, parte della sua vita. E non aveva importanza il fatto che la ginnastica artistica le avesse sottratto gran parte delle esperienze che i suoi coetanei avevano fatto. Aveva pochi amici, non aveva idea di cosa significasse amare qualcuno, non era mai andata in discoteca. Nella sua vita non c’era spazio per quelle cose, così sciocche, così futili. O forse c’era?
Ville si accese stancamente una sigaretta e si avviò lungo la strada. Era ormai sera, il sole scendeva lento dietro le montagne e la gente tornava a casa per la cena. La cena, unico momento della giornata in cui la famiglia era riunita. Già, la famiglia. Chissà se ci sarebbe mai stata, per lui, una famiglia. Camminando, vide ad un tratto la porta di un edificio grigio spalancarsi ed una ragazza uscirne con passo svelto. Aveva le cuffie dell’iPod alle orecchie, lunghi capelli castani sciolti sulle spalle e dei puliti occhi scuri. Era piccola, esile. Sembrava una bambina. Aveva un borsone che le pendeva dalla spalla destra ed era vestita con una semplice tuta, eppure in qualche modo splendeva. Muoveva leggermente la testa a tempo della sua musica, quella musica personale e privata che era l’unica ad ascoltare, e sul suo viso c’era un’espressione tranquilla e serena. Ville rimase ad osservarla, così giovane e così inconsapevole, mentre si fermava sul marciapiede ed attendeva l’arrivo di qualcuno. Dopo qualche minuto, arrivo un’automobile e lei vi salì, sorrise al conducente e svanì lungo la strada.
Ville rimase colpito da quella serenità, quell’essere così distante e fuori dal mondo, quel passo rapido e lieve.
Rimpianse l’età che doveva avere quella ragazza, con tutte le gioie, le esaltazioni e le malinconie che portava con sé… rimpianse l’idea di avere ancora tutta la vita davanti, mentre lui dentro di sé si sentiva avvizzire come un fiore nel deserto.
-Nadine!
Louise. La sorella più frizzante e rumorosa che si potesse avere.
Non appena Nadine ebbe messo piede nella stanza che condivideva con la sorella, quest’ultima le saltò praticamente addosso. –Sorellaaaaa, non indovinerai mai cos’ho qui.
Nadine si districò dall’abbraccio di Louise sbuffando. Ventun’anni e saltava addosso alla gente come se fosse una ragazzina…
-Dato che non indovinerò, perché non me lo dici subito?- disse, posando stancamente il borsone a terra e sedendosi sul suo letto.
-I biglietti per la festa al Black Eden di sabato sera!- rispose Louise in tono concitato, sventolando sotto il naso di Nadine due biglietti colorati. –Solo che, dato che Rita e Shana sono già impegnate, non so con chi andare…
Nadine alzò gli occhi al cielo. –Andiamo, lo sai che tra gli allenamenti e la scuola non ho un attimo di respiro… e poi onestamente odio quel locale… ci suonano dei gruppi che fanno solo inquinamento acustico.
-Eddai, quanto sei noiosa- insistette Louise, -è di sabato, il giorno dopo è domenica e tu per una volta non hai nessuna gara o stage… dai, dai, dai sorellina, svagati un po’, per una volta nella tua vita!
E Nadine, per una volta nella sua vita, si lasciò convincere. Si scoprì quasi elettrizzata, mentre quella sera si metteva a letto, al pensiero di fare qualcosa di diverso. Al pensiero di non essere sotto pressione, per una serata soltanto.
Edited by »euridice; - 8/5/2008, 17:26