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[killerpilze]Where do you run to so far away?, Slash, rating non ancora definito cap 1+2

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MarsFreiheit
icon12  CAT_IMG Posted on 20/6/2008, 13:47




Ecco qui la mia schifezza ... è la prima slash che posto ed anche la prima che ho deciso di scrivere e portare a termine seriamente. Ci riuscirò? Bah.
Per ora ...
buona ( -.- ) lettura!


Where do you run to so far away?

Cosa sono i sogni? Per alcuni traguardi da raggiungere, per altri dolci illusioni.
I sogni sono ciò che ci sprona a non mollare, ciò in cui ci possiamo rifugiare anche nei momenti più bui, senza riuscire a trattenere un sorriso rivolto a quella speranza, o una lacrima rivolta a quel rimorso.
Per realizzare i nostri sogni saremmo disposti a tutto, a provare quel brano fino ad avere le piaghe sulle dita, ad attendere per ore sotto la pioggia i risultati di quei provini, ad andare contro a tutti e tutto pur di farcela, a sacrificare la nostra vita in nome di qualcosa in cui crediamo. I sogni sono vita. Noi siamo i nostri sogni.

Ma a volte non è così facile. Non basta chiudere gli occhi per arrivare dove vogliamo. Dopo aver sudato, dopo aver pianto, dopo aver finalmente osservato da vicino quel mondo che fino a poco fa sembrava lontano anni luce, anche quando si ha ormai la certezza di essere a cavallo, di avercela finalmente fatta, tutto può crollare. Come un castello di carte fatto male, come una bolla si sapone scoppiata, tutto può cadere e il nostro paradiso può trasformarsi in un inferno.




La pioggia cadeva dal cielo come un pianto rassegnato. Le macchine percorrevano la strada affollata, le ruote che giravano macinando l'asfalto bagnato e schizzando acqua sui marciapiedi. Qui alcuni uomini in giacca e cravatta parlavano all'auricolare, camminando velocemente e stringendo con la mano il manico della ventiquattro ore; una giovane donna osservava una vetrina, muovendo avanti e indietro con una mano la carrozzina nel tentativo di far addormentare la bambina che piangeva e tenendo con l'altra un ombrello a fiori; un gruppetto di ragazze rideva e cercava di ripararsi dall'acqua con la giacca; un ragazzo in piedi alla fermata dell'autobus le osservava, negli occhi una strana luce malinconica e sulle labbra un vago sorriso. Appena l'autobus aprì le porte, salì e si sedette accanto a una bella ragazza, baciandola con dolcezza e cominciando a chiaccherare con lei.
Tutti si muovevano, tutti correvano da qualche parte, senza riuscire a fermarsi un attimo a pensare, o forse proprio per dimenticare, far finta di aver superato qualcosa che invece è ancora difficile da mandare giù.

Un ragazzo camminava lentamente tra la gente. Il cappuccio di una felpa nera gli copriva il capo, un paio di jeans scuri e sfilacciati in fondo gli fasciava le gambe lunghe e snelle, le scarpe da ginnastica nere attraversavano le pozzanghere, incuranti dell'acqua che le inzuppava.
Amava quei pochi momenti in cui nessuno lo notava, nessuno lo riconosceva.
Era come tornare indietro nel tempo, tornare ad essere quel ragazzino malinconico e introverso che sedeva all'ultimo banco e viveva di note e parole, senza che nessuno si preoccupasse di farci amicizia. Quel ragazzino che, durante l'intervallo, invece di stare con i suoi compagni sgattaiolava nella classe dei più grandi e con due di loro e il fratello si metteva in un angolo a confabulare, testa contro testa, sognando un futuro apparentemente impossibile.
Ora che quel futuro era arrivato, ora che si sentiva davvero felice, tutto era crollato.
Se n'era andato.
Con una spiegazione breve e stupida: “Non ce la faccio più, probabilmente non era ciò che sognavo davvero, preferisco concentrarmi sulla scuola, mi dispiace”.
Diciotto parole che ormai conosceva a memoria, diciotto parole che continuava a ripetersi in testa, diciotto parole che l'avevano ucciso, diciotto pugnalate dritte al cuore.
Se n'era andato.
Non riusciva a capire perchè, possibile che con quella frase avesse buttato anni e anni di duro lavoro e speranza? Possibile che gli fossero bastate diciotto parole per liquidare tutto come un errore di percorso?
No, ancora non ci credeva.
Schlagi se n'era andato.
Schlagi aveva lasciato la band.
Schlagi aveva lasciato i Killerpilze.
Schlagi, sempre pronto a scherzare e combinare qualcosa.
Schlagi, che sapeva ascoltare, capire, confortare.
Schlagi, il suo “fratello maggiore”.
Schlagi, che sapeva.
Schlagi, che lo capiva con un solo sguardo.
Schlagi.
Uno dei pochi che c'era sempre stato, uno dei pochi di cui si fidava veramente, uno dei pochi che credeva non se ne sarebbe mai andato. Gli bastava voltarsi indietro per vederlo accanto a se, a ridere dopo l'ennesimo scherzo, ad abbracciarlo mentre piangeva, ad ascoltarlo in silenzio, a cercare di spiegargli quel maledetto esercizio di matematica che proprio non capiva, per poi crollare a sghignazzare sul pavimento come uno scemo. Non riusciva ad immaginare una vita senza di lui, Schlagi era una di quelle componenti ovvie, uno di quegli amici che non ti sorprendi di trovare accanto a te, perchè lo sai che ci sono, una di quelle persone che ti dimentichi persino di ringraziare di esserci sempre, perchè è così normale che siano al tuo fianco!
Era come se un pezzo di se gli si fosse staccato, come se gli avessero amputato un braccio, o una gamba. Come era possibile? Come poteva dimenticare? Non poteva, era questa la risposta.
Voleva solo fuggire da tutto, da quella realtà cruda. Non voleva essere riconosciuto, non voleva essere compatito, non voleva essere circondato da gente che lo conosceva di persona, che lo salutava sorridendo e gli domandava come stesse pur conoscendo la risposta. Voleva darci un taglio, fuggire da quel dolore visibile a tutti e dai mille altri di cui solo pochi erano a conoscenza.
Alzò lo sguardo e fissò l'edificio davanti a se.
Dalla stazione entravano ed uscivano persone diversissime. Chi viaggiava per lavoro, chi viaggiava per esplorare nuovi luoghi, chi viaggiava per incontrare la persona amata, chi viaggiava per fuggire, come lui.
Entrò nel grande atrio dell'edificio e si fermò davanti al tabellone delle partenze, incerto su ciò che stava per fare. Mollare tutto, dimenticare o almeno provarci. Lasciare la sua famiglia, non che gliene importasse più di tanto; lasciare Fabi e Max. Sì, questo gli importava. Ma ormai era tutto finito, i Killerpilze erano morti, senza Schlagi non ce l'avrebbero fatta. Avrebbero capito. Si sarebbe fatto sentire. Sarebbe tornato. O forse no? Scosse la testa, mentre un viso conosciuto gli si formava nella mente. Il suo cuore aumentò la velocità, come sempre quando pensava a quella persona.
Forse allontanarsi un po' gli avrebbe fatto bene. Non poteva più nemmeno sfogarsi. Schlagi era l'unico che sapeva.
Lesse velocemente il tabellone delle partenze. Monaco, Vienna, Augusta, Berlino. Si diresse verso la biglietteria.
<< Vorrei un biglietto per Berlino >> disse a bassa voce, sperando che la donna in tailleur dall'altra parte del vetro non lo riconoscesse.
<< Certo, subito >> rispose la signora in tono professionale, scrivendo velocemente qualcosa al computer e porgendogli il biglietto appena stampato.
Il ragazzo pagò e si diresse verso il binario cinque, dove il treno era fermo.
Dopo un ultimo sguardo malinconico alla stazione salì a bordo.
I vagoni erano affollati: una scolaresca, pendolari, uomini d'affari, anziani ... Finalmente trovò un vagone vuoto. Si sedette su un sedile scarabocchiato e appoggiò la testa al finestrino. Pioveva ancora, ma in modo più leggero, come se la tempesta fosse finalmente passata.
Stava davvero fuggendo? Stava veramente andando a Berlino, una città che lui non conosceva ma in cui quasi tutti conoscevano lui, senza neppure sapere se e quando sarebbe tornato a Dillingen? Stava davvero mollando tutto?
Scosse la testa e sospirò, chiudendo gli occhi. Era un gesto da irresponsabili, già si immaginava i rimproveri isterici di Corni, gli occhi al cielo di Fabi e l'espressione sollevata ma irritata di Max.
“ Max ... gira e rigira penso sempre a lui ... “ si ammonì mentalmente il ragazzo.
Da qualche mese aveva capito cosa lo legasse al chitarrista. Non era stato facile all'inizio, ma pian piano aveva cominciato ad accettare la verità: si era innamorato di Max.
“ Basta, basta .... non devo più pensarci, basta ... “
<< Scusa, è libero? >> chiese una voce dietro di lui. Aprì gli occhi di scatto e si voltò. Una ragazza lo guardava attendendo una risposta.
<< Sì, sì, certo ... >> rispose con un sorriso.
La ragazza ricambiò e si sedette, cominciando a frugare nella borsa e dando così a Jo il tempo di osservarla per bene.
I lunghi capelli rossi le cadevano sulle spalle in ciocche ondulate; indossava una specie di corpetto con maniche lunghe che terminavano con uno sbuffo e una gonna in tulle con alcuni voilant rossi, calze collant a righe rosse e nere e anfibi dalla suola spessa.
Quando smise di frugare nella borsa bianca e nera ricoperta di spille e scritte alzò lo sguardo e lo puntò prima su Jo, poi sul panorama che scorreva fuori dal finestrino.
<< Comunque bravo, suoni davvero bene >> disse dopo un po' con un leggero sorriso sul volto, senza incrociare lo sguardo del ragazzo che sedeva davanti a lei.
Jo si trattenne dallo spalancare la bocca.
Lo aveva smascherato con appena qualche sguardo.
<< Grazie ... >> rispose al complimento, fissando anche lui un punto qualsiasi fuori dal finestrino, stranito da quella reazione. Non gli saltava addosso? Non urlava come un'isterica?
<< Prego >> fece la ragazza con un sorrisino soddisfatto. << Ah, puoi anche tirarti giù il cappuccio ... >> aggiunse.
Jo ubbidì, come sotto un incantesimo, senza una parola.
“ E mancano ancora sei ore all'arrivo ... “ pensò avvilito dall'astuzia della ragazza.
 
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°°°oOKikkaOo°°°
CAT_IMG Posted on 20/6/2008, 16:58




ehi! che aspetti a continuare???? XD

mi piace, soprattutto perchè c'è Max *sbava*
no sul serio, è molto bella continuala presto!!! ^^

 
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darklady^^
CAT_IMG Posted on 20/6/2008, 21:19




quoto kikka!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
>____________________________<
e non fa assolutamente schifo!
continuaaaaaaaaaaaaaaaa!!
*saltella facendo capricci*
kiss:-*
 
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MarsFreiheit
CAT_IMG Posted on 22/6/2008, 16:52




CAPITOLO 2

<< Jo, sono Max, dove sei? Ti stiamo cercando da ore, almeno accendi il cellulare, fatti sentire ... siamo preoccupati ... rispondi dai ... chiamami appena senti questo messaggio, ciao >>
Max premette il bottone rosso del telefono e sbuffando lo buttò sul divano, continuando a camminare avanti e indietro per la stanza. Fabi seduto sul divano si teneva la testa fra le mani, lo sguardo fisso sul pavimento.
<< Ma dove cazzo si è cacciato ... >> mormorò il biondo.
Fabi prese nuovamente il telefono e compose il numero a memoria.
<< Jo, sono io, cavolo, chiama, facci sapere se stai bene ... dove ti sei cacciato ... >> disse con tono preoccupato. Dopo alcuni attimi di silenzio premette il tasto di fine chiamata e si risedette, rassegnato.
Max guardò fuori dalla finestra. Pioveva ancora, ormai era sera e Jo ancora non era tornato. Dopo che Schlagi aveva annunciato il suo abbandono, se n'era andato sbattendo la porta, senza dare a nessuno il tempo di seguirlo.
“ Dove sei? Mi stai facendo preoccupare Jo ... “ pensò angosciato, passandosi una mano sul volto.
Dove poteva essere andato con quel tempo e soprattutto, perchè non era ancora a casa? Una vocina dentro di lui gli suggeriva di stare calmo, infondo Jo aveva diciassette anni, sapeva badare a se stesso.
Ma perchè non chiamava? Gli era successo qualcosa? Represse un orribile pensiero scuotendo la testa, no, non poteva essere in pericolo, non poteva lasciare che gli accadesse qualcosa, anche perchè non se lo sarebbe mai perdonato. Per lui Jo era come un fratello minore, un fratello da seguire e da proteggere, non avrebbe lasciato che gli accadesse qualcosa.
“ Solo un fratello minore? Sicuro di non provare nient'altro? “ insinuò la sua coscienza.
“ Sì, sì, la devo smettere di mentire a me stesso, è vero ... forse non è solo un 'fratello minore', forse ... no, no, no, io sono etero cazzo! Non posso provare qualcosa per il mio migliore amico! Non che abbia qualcosa contro i gay, anzi ... però ... io ... no,non è possibile ...” I suoi pensieri confusi si susseguivano uno dopo l'altro, lottando tra di loro per la predominanza su quel cervello malfunzionante. Non sapeva cosa pensare, da un po' dubitava dei suoi sentimenti nei confronti dell'amico, ma ... come poteva essere omosessuale? Lui?
“ Dio ... ma è questo il momento di pensare a queste cose? Jo potrebbe essere chissà dove, in pericolo e io penso a ciò che provo per lui! “ si ammonì, scuotendo la testa.
<< I tuoi genitori dove sono? >> chiese a Fabi.
<< Da alcuni amici ... sono andati a vedere se è da loro ...>> rispose il più giovane.
Max annuì brevemente, continuando a camminare nervosamente per la sala.
<< No, basta, non ce la faccio! >> esclamò ad un tratto prendendo la giacca buttata sulla poltrona.
<< Dove vai? >> chiese Fabi alzandosi di scatto.
<< A cercarlo >> rispose lapidario Max aprendo la porta.
<< Voglio venire anche io! >> esclamò il più piccolo seguendolo.
<< No Fabi, tu sta qui! >>
<< No! E' mio fratello, avrò pure il diritto di fare qualcosa! >> disse Fabi infervorato.
Max si voltò, prese un respiro profondo e gli poggiò le mani sulle spalle.
<< Lo so Fabi, hai ragione, ma se chiama? Se torna a casa e non trova nessuno? Ci deve rimanere qualcuno qui ... >> gli spiegò. Il ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo appena.
<< Ci vediamo dopo ... se so qualcosa ti chiamo! >> lo salutò Max prima di entrare in macchina e partire velocemente.
Guidava sulla strada principale, guardandosi intorno sperando di vedere Jo, ma niente.
“ Dio ... dove ti sei cacciato? “ pensò.
Trovò un parcheggio e decise che forse era meglio proseguire a piedi. Scese dall'auto e si confuse tra la folla che camminava sul marciapiede.
Cercò nel negozio di musica, al museo, al parco, in libreria, allo skate park, senza trovarlo.
<< Scusi! >> domandò a una signora ferma al lato della strada con una borsa della spesa in mano. << Ha visto un ragazzo ... >> si fermò, non sapendo come continuare.
<< Un ragazzo? Un ragazzo come figliolo? >>chiese la donna con tono gentile, squadrandolo con un'occhiata perplessa.
<< Un ragazzo ... >> Max si guardò intorno, in cerca di aiuto. Vicino al giornalaio a pochi metri da lui era esposto il manifesto pubblicitario di una rivista musicale e in copertina c'erano i loro volti. << Un ragazzo simile a quello! >> esclamò indicando la foto di Jo sul manifesto.
<< Quello in mezzo? >> chiese la donna.
<< Sì, sì, quello in mezzo ... l'ha visto? >> insistette Max esasperato.
La donna sembrò pensarci su un attimo. << Uhm ... forse ... c'era un ragazzo prima che gli assomigliava ... >>
<< Dove? Dov'è andato? L'ha visto? >>
<< Sì ... mi sembra sia entrato alla stazione ... sembrava piuttosto giù ... me lo ricordo perchè ... >>
<< Grazie, grazie mille signora! Arrivederci! >> la interruppe Max voltandosi e correndo verso la stazione.
“ No Jo, non dirmi che te ne sei andato ... no, non dirmelo. Non puoi farmi una cosa del genere, no ... “ pensava il biondo, il respiro affannato dalla corsa, il cuore a mille a causa dell'angoscia e la paura.
<< L'InterCity numero 8033 delle ore 20,30 per Berlino è in partenza dal binario cinque >> comunicò la voce metallica dell'altoparlante. Max alzò la testa, sorpreso. Un ricordo gli riaffiorò in mente.

<< Berlino, sarebbe bello andarci ... c'è così tanta gente, ma nessuno ci conosce ... beh, più o meno ... però pensa, camminare tra migliaia di persone, con il cappuccio in testa e senza essere guardato o avvicinato ... dev'essere bello ... >>

“ Berlino ... l'avevi detto ... ti sarebbe piaciuto andarci ... “ fece appena in tempo a formulare quel pensiero che un rumore di freni stridenti lo distrasse. Il treno al binario cinque cominciava ad allontanarsi lentamente.
Max ricominciò a correre verso la banchina, urlando il nome dell'amico. Le porte del treno erano già chiuse, i finestrini oscurati, come poteva vederlo?
<< Jo ... >> mormorò per l'ultima volta, mentre il treno usciva dalla stazione e il suo sbuffo rumoroso si udiva sempre meno.



Il treno correva sulle rotaie nella notte. I campi erano sconfinate distese nere, le luci delle città stelle lontane, come quelle che brillavano su, nel cielo scuro. Jo le osservava, la testa appoggiata al finestrino, come la sua strana compagna di viaggio. Entrambi fissavano quei puntini luminosi così lontani, persi in pensieri forse malinconici, forse dolorosi, forse speranzosi.
Nella mente del ragazzo si affollavano i ricordi di tutti gli anni passati con Schlagi. Sospirò, si era ripromesso di non pensarci e invece non riusciva a reprimere quel dolore che sentiva nel petto da quando, qualche ora prima, l'amico aveva annunciato la sua decisione.
<< A che pensi? >> domandò ad un tratto la ragazza di punto in bianco.
Jo alzò gli occhi e incontrò i suoi, neri come la notte la fuori, limpidi come l'acqua di una sorgente. A malapena la conosceva, si erano scambiati appena due parole, ma sembrava che già qualcosa li legasse. Qualcosa di magico, qualcosa che lo spingeva a fidarsi di lei.
<< A tante cose ... >> rispose tornando ad osservare le stelle oltre il vetro.
<< Bei ricordi? >> continuò la ragazza.
<< Sì ... passati ormai ... >> Jo era stupito da come la ragazza avesse subito ... compreso i suoi pensieri.
<< Ho saputo che se n'è andato ... >>
Il ragazzo incontrò nuovamente lo sguardo dell'altra. Come faceva a sapere di Schlagi? I giornalisti avevano già riportato la notizia?
Annuì solamente.
Il silenzio tornò a regnare nel vagone, nessuno dei due parlava, ma non era un silenzio imbarazzante. Era un silenzio con cui, Jo sapeva, la ragazza avrebbe capito tutto. Come? Non lo sapeva.

Raggiunsero la stazione di Berlino alle prime luci dell'alba. Un ultimo sbuffo, poi silenzio, il fischio del capostazione e il vociare dei passeggeri che, qualcuno ancora un po' addormentato, scendevano e si disperdevano, ognuno per la propria strada. Jo si alzò, intorpidito, così come la ragazza, che si mise la borsa in spalla e scese dal treno insieme a lui. L'aria fresca di Berlino li accolse, facendoli rabbrividire.
La ragazza si voltò verso di lui e lo fissò intensamente con le sue iridi color pece.
<< Non permettere che finisca >> gli disse seria. Poi si allontanò tra la folla, lasciandolo lì, immobile.
Jo si risvegliò dopo qualche attimo. La guardò andare via.
Non sapeva nemmeno il suo nome.
“ Non permettere che finisca ... “
<< E' già finita >> mormorò a se stesso.
S voltò e si avviò verso l'uscita della stazione, avvilito e perso. Adesso cosa avrebbe fatto?
Solo, in una città sconosciuta, depresso e con in tasca un mp3 e il cellulare. Tirò fuori quest'ultimo e lo accese. Una scritta apparve sul display. “Quindici messaggi ricevuti”. Lesse velocemente il mittente. Max, Max, Max, Fabi, Max, Fabi, Fabi, Fabi, Fabi, Max, Max, Fabi, Max, Max, Max.
Sbuffò. Non li voleva nemmeno leggere. Messaggi > Crea messaggio > SMS. “ Sto bene, non cercatemi. Mi spiace ” Invia > Max > Fabi.
Rimise il cellulare in tasca.
Gli dispiaceva che si preoccupassero, ma questa volta non ce la faceva più. Si era stancato di fare il bravo bambino, responsabile ed ubbidiente. Si era stancato di sopportare tutto con un sorriso ipocrita, si era stancato di quella vita in cui l'amore faceva male e l'amicizia deludeva. Voleva fuggire da tanto, adesso l'aveva fatto e non sarebbe tornato indietro.
Gli sembrò che qualcuno urlasse il suo nome, ma non ci badò.
Represse i ricordi dei volti del fratello e dell'amico in fondo alla mente
Era un capitolo chiuso.
 
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°°°oOKikkaOo°°°
CAT_IMG Posted on 22/6/2008, 18:32




*-* che bella *-*
questa ficcy mi prende sempre di più *-*
continua presto!!!!!!!^^
 
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darklady^^
CAT_IMG Posted on 22/6/2008, 20:00




*_______________*
 
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5 replies since 20/6/2008, 13:47   100 views
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