Una fic collegata
all'undicesimo capitolo dell'altra che sto scrivendo.
Di un'allegria convolgente (-.-), l'adoro! XD
Scusami.- Tim! TIIM! – Lo chiamo.
E mi viene immediatamente in mente quando lo chiamavo così, si girava e mi guardava con occhi languidi.
Mi viene in mente quando mi chiamava amore.
Quando non passava un giorno senza che lui mi dicesse “
ti amo”.
E mi mancano, quei giorni.
Mi mancano fottutamente.
E se non è più con me, è tutta colpa mia.
Solo colpa mia.
Apre gli occhi di scatto e mi osserva. Quel suo sguardo smarrito mi riporta alla realtà.
- Calma! Che hai da urlare? – Risponde infine, mettendosi a sedere.
- Che voglio? Sono le due di notte, Shin! – Esclamo sorridendo.
Possibile che non se ne sia reso conto? Sta dormendo a casa mia, cosa vuole che gli dica? Di andare nel mio letto?
- A quest’ora, da solo e a piedi, a casa non ci torno. – Dice, scuotendo la testa.
Lo avevo immaginato. Infatti ho già le chiavi della macchina in tasca.
Mi dirigo nell’ingresso, e m’infilo una felpa piuttosto vecchia. Non ricordo più neppure da quanto tempo ce l’ho.
Ma tanto non ha alcuna importanza.
- Dove sono gli altri? – Domanda.
Quando lo sento fare certe domande, mi viene spontaneo chiedermi se lo fa apposta. Ci tiene a sembrare stupido?
- Strify e Yu dormono. Luminor è a casa sua. Vieni dai, ti accompagno. – Dico, rispondendo alla sua ovvia domanda con un’ovvia risposta. E una proposta.
- Grazie! - Esclama con gratitudine.
Inizio ad uscire, e lui mi segue.
Domande premono contro le mie labbra, spingono per uscire.
Le ricaccio indietro. Non voglio parlare. Non voglio farmi sfuggire le solite sciocchezze. Non voglio combinarne una delle mie.
Eppure quella lettera, nascosta nella tasca interna della mia felpa, sembra quasi bruciare. Vuole essere tirata fuori, sembra tentarmi.
L’ho trovata in quel cassetto a casa sua. Non la cercavo, non l’ho fatto apposta.
Cercavo la mia penna.
Non avrei dovuto prenderla, lo so.
Ma, cavolo, quando l’ho vista col mio nome scritto sopra, con la sua calligrafia, non ho potuto fare altro che prenderla e leggerla.
Ed era così dolce, così sincera…
Mi trovo la macchina di fronte e quasi ci sbatto contro. Mi fermo e la schivo con un movimento impercettibile, che cerca di sembrare calcolato.
Apro la macchina; lui si siede al posto del passeggero, e io accanto a lui.
Mi siedo e giro la chiave nel cruscotto; il motore brontola, poi si spegne.
Stupida macchina da quattro soldi.
Riprovo a mettere in moto, ma fallisco.
- Stupido cartoccio, accenditi! – Bisbiglio, talmente piano che probabilmente lui non mi sente neppure.
- Io l’ho sempre detto alla mamma che questa macchina fa schifo. – Esclamo poi, infastidito.
Lui ride. Beh, beato lui che ha tanta voglia di ridere. Io voglio piangere.
E la macchina non c’entra niente.
Provo una terza volta, inutilmente, a mettere in moto.
Impreco, tirando un pugno a quello che mi capita di colpire. Il suono del clacson sembra fortissimo, rispetto al silenzio della strada.
Mi volto a guardarlo.
Devo approfittare di questa situazione, devo spezzare questo silenzio troppo pesante.
- Tim, grazie mille. L’idea è banale ma efficace. – Dico, cercando di non dare a vedere che la mia mente fugge da tutt’altra parte.
Mi guarda, in attesa.
Perché è così dannatamente silenzioso?
- Shin… So che non avrei dovuto leggerla – Inizio, facendomi coraggio.
Lui mi guarda spaesato.
Silenzio. Silenzio.
Perché non dice nulla? Perché non apre la sua dannatissima bocca e dice qualcosa?
Tiro fuori la lettera dalla tasca e riprendo a raccontare, con un sospiro.
- Ho trovato la lettera che oggi hai lasciato nel cassetto. Non l’ho fatto apposta, la penna che hai posato assieme alla busta era la mia. Nel prenderla ho visto il foglio col mio nome e così l’ho letta. – Dico.
Ora devo solo aspettare una sua reazione. Ma tutto quello che fa è restare immobile.
Aspetto con calma. Deve reagire. Deve dire qualcosa. Non può rimanere immobile tutta la vita, no?
Anche se esce e se ne va. Anche se mi fa capire che non mi parlerà più per il resto dei miei giorni. Deve fare qualcosa
- Oh, beh. Dopotutto è anche colpa mia. – Dice scrollando le spalle.
Lo guardo stupito e curioso, ma lui non sembra voler continuare il discorso.
Rimetto la lettera nella felpa.
- Sei tu che mi devi risposte. – Azzarda.
Guarda il punto dove ho nascosto la lettera nella felpa. Probabilmente desidera non averla mai scritta. Vorrebbe non aver mai ascoltato il mio consiglio.
Forse sarebbe meglio se non mi avesse mai incontrato.
Mi rendo conto che la mia faccia ha assunto un’espressione strana.
Sfilo le chiavi dal cruscotto e decido di fare anche io un’affermazione ovvia.
- La macchina non parte. – Dico.
- Chiamo un taxi. – Risponde. Ma la sua voce sembra un po’ aggressiva. Trattenuta.
Questo conferma la mia idea: è arrabbiato con me. Anzi, no, mi odia.
Era spensierato e l’ho impensierito.
Era depresso, l’ho rallegrato, ma donandogli il doppio dei problemi.
Ma il peggio, la cosa più stupida che io abbia mai fatto per lui è stato uccidere per sempre la sua felicità, con una semplice e insulsa frase.
Mi sento tremendamente in colpa.
- Ma non odiavi i taxi? – chiedo.
- Già, ma non ho scelta. – Risponde sbuffando.
Si, invece ce l’ha.
- Potresti dormire qui! – Esclamo senza pensarci. E nel preciso istante in cui lo faccio, mi pento di aver aperto bocca.
Mi guarda con una faccia stupita. Probabilmente cerca di non urlarmi contro.
Crede di nascondere così bene cosa prova, eh?
Ma in realtà si capisce tutto ciò che pensa: negli occhi, nelle espressioni, nei gesti, nel tono di voce troppo neutrale… in tutto quello che fa.
Anche nelle sue reazioni lente e calcolate; nella sua accortezza a tenersi ad una certa distanza da me.
- Ehm… no, nulla. Chiama il taxi, Shin. – Dico.
Non voglio scambiare con lui un’altra parola: esco dalla macchina e chiudo la portiera.
Fuori si gela.
Tiro un calcio alla ruota posteriore dell’auto, nel tentativo di sbollire la rabbia. Le lacrime, bollenti sul volto, bagnano la pelle senza che io mi sia accorto di versarle.
Mi appoggio allo sportello posteriore della macchina.
- Stupido. Sono uno stupido. – Dico, sempre in lacrime.
Lo rivoglio.
Voglio stare ancora con lui.
Per colpa mia, invece, è finito tutto.
È finito solo perché io avevo paura.
Arriva il taxi e Shin esce dall’auto.
- Allora ci vediamo domani? – Chiedo senza voltarmi a guardarlo.
Ho paura di guardarlo negli occhi. Non riesco a stare con lui un secondo in più. Eppure non riesco neppure a stare senza di lui. So già che quando se ne sarà andato mi mancherà.
- Sì, ma sul tardi: ho dormito poco. – Risponde.
- A domani, Shin. – Dico avviandomi verso casa a testa bassa.
Sì, a domani Shin.
E scusa se non riesco a fare a meno di te.
E scusa se ti faccio soffrire.
E scusa se soffro.
- A domani. – Dice lui, un po’ malinconico.
E ancora una volta il cuore mi balza nel petto, alla speranza che anche lui non voglia lasciarmi, che voglia restare con me.
Scusa se ti costringo ad odiarmi.
Scusa se sei obbligato ad amarmi.
Scusa se
ti amo.
