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-La legge di Mendel-, Capitolo 3

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†Beyond Birthday†
CAT_IMG Posted on 25/11/2009, 17:32




Capitolo tre
Red Passion





Regola numero uno: mai fidarsi di Andreas.
Regola numero due: mai fidarsi di Andreas che ti vuole portare in qualche locale.
Regola numero tre: mai fidarsi di Andreas che ti vuole portare in qualche locale che però tu non conosci.


L'aria impregnata da un terribile odore di alcool si disperde tra una serie di luci stroboscopiche e mezze rotte, lasciando distinguere a malapena una massa di corpi informi che si accalcano ai lati dei palchi dove prendevano vita le danze delle spogliarelliste. Ragazze di ogni età, alcune forse minorenni, si muovono sensuali su cubi fluorescenti disposti in ogni angolo, mentre alcune "coppie" si fanno strada tra la folla per avviarsi verso le camere affittabili in fondo al locale. E io che pensavo che mi avrebbe portato in una discoteca o cose simili. Non in uno strip club.

Beh, almeno Andreas è abbastanza realista da capire che se non paga una donna non riuscirà mai a portarla nel suo letto.
Mi insinuo tra la folla urlante e impazzita, sperando di riuscire a raggiungere il bar tra tutta quella confusione. Finalmente, dopo una serie infinita di spinte mi accascio pesantemente sullo sgabello in pelle consumata. Sono tutti a godersi le cubiste, seduti ci siamo solo io e una dipendente, visto l'abbigliamento alquanto semplicistico, dai capelli castani. "Cosa prendi ragazzo?" dice la voce profonda del barista, un uomo sulla quarantina con dei foltissimi baffi neri.
"Una Piña Colada." rispondo sbrigativo. Non mi piace questo posto, mi da una sensazione quasi di pericolo, come se a breve dovesse succedere qualcosa di strano. E' la stessa sensazione che sentii a scuola, quando ci fu quel corto circuito e la sala computer si incendiò.
Spero che le luci stroboscopiche non diano fuoco alle tende del separé, questa giornata va già male di suo. Mio padre ha saputo che ho marinato la scuola un'altra volta, mi sono beccato una sgridata tremenda. Ovviamente, non si è nemmeno scomodato a parlarmi di persona, perché dovrebbe?! Mi ha lasciato un video messaggio e la sua segretaria ad infierire. Mi odia, ormai sono certo di poterlo dire. Così come mi odiano tutte le fottute persone di quella casa, ma cosa vuoi che me importi. Loro non possono capire e tanto meno voglio che ci provino. Le uniche volte che si è curato di avere un figlio sono state per le rarissime visite di parenti o alle cene importanti. Quando la gente si rendeva conto che avevo qualcosa che non andava, lui faceva la figura del padre negligente, buttando così giù la facciata di perfezione che aveva tanto faticato a costruirsi. Per il resto, mi tratta come se non fossi nemmeno suo figlio.
Se solo avesse il coraggio di dirmi che vuole sbarazzarsi di me. Solo questo vuole, mandandomi in una scuola privata, circondandomi di gente che finga di provare per me l'affetto che dovrebbe provare lui.
Non sa fare altro che ignorarmi, proprio come quel giorno. Avrei potuto bruciare vivo se solo non avessi fatto abbastanza attenzione. Ma quel giorno all'uscita, come tutti i giorni, non si fece vedere. Cosa contava se il suo bambino era stato ad un passo dalla morte?
Perso nei miei pensieri, comincio a girare meccanicamente l'ombrellino nel bicchiere che ho svuotato senza accorgermene, tornando sempre più indietro nel tempo con la mente.
Quel fantomatico giorno ci doveva essere la giornata di visita dei genitori.
Mio padre mi aveva detto che non poteva venire mesi prima, ed era così per la maggior parte degli altri padri, percui non mi dispiacque più di tanto, già mi rendevo conto che per lui non ero nulla se non un trofeo, ma le madri dei miei compagni c'erano tutte. Sedevano sorridenti accanto ai loro figli tenendo in mano i dolci e le torte che avevano preparato con giorni d'anticipo, per fare contenti i loro pargoletti. O forse avevano ordinato alle cameriere di preparare, chi pensa alla falsità altrui quando deve occuparsi già della propria? Mi era venuto quasi il voltastomaco guardandoli.Mi ritrovai una linea nera sulla guancia e capii che avevo ceduto alle lacrime. Corsi fuori in corridoio cercando di non farmi vedere. Ed è stato lì che mi ero reso conto di quello strano calore, quello dell’incendio. Con la mente torno al locale, non sono venuto qui per deprimermi o annoiarmi. Ho voglia di stare con una donna. Sospiro e inizio a vagare con lo sguardo per il locale.

Dopo aver vagato invano ne vedo una alla fine della sala abbastanza carina e priva, apparentemente, di impegni. Mi dirigo verso di lei.

Che si aprano le danze.


§§§



Freno di colpo, sollevando una leggera nube di polvere intorno all'auto malmessa. E' una vecchia Escalade, di non so quanti anni, trovata in un campo di rottami abbandonato.
Avevo circa quindici anni. Io e La banda (che in quei tempi antichi consisteva in me, Georg e Dave) volevamo dimostrarci duri a tutti i costi. A quei tempi contava solo apparire per noi. Avevamo pensato che il modo migliore per avere gli occhi puntati addosso fosse quello di battere l’altra banda che in quel momento deteneva il controllo sul territorio est del quartiere. Si riunivano ogni venerdì in quel campo per discutere gli affari, per organizzare le ronde o semplicemente per fumare.
Non doveva essere tutta questa gran cosa batterli. Erano di pochi anni più grandi di noi e nemmeno tanto muscolosi, ma non avevamo immaginato che potessero essere così tanti. Morale della favola?! Ci eravamo ritrovati con almeno un occhio nero a testa, qualche osso incrinato e un pugno di mosche per quanto riguardava la tanto ambita notorietà. Ma quel giorno vidi l'amore della mia vita. Quella vecchia Cadillac, col motore sfasciato e i vetri sbriciolati. Tornai lì appena fui guarito e con l'aiuto di Flick (che non si sa come era in possesso di numerose abilità meccaniche) l'avevamo messa in condizione almeno di partire. Non mi ero mai sentito così felice! Ricordo ancora le urla di mia madre perché passavo metà del mio tempo ad avvitare bulloni e sostituire vecchi pezzi malmessi. Però alla fine di tutto il mio lavoro si è rivelato utile. Un auto ci serve, per quanto sia da rottamare.
Scendo velocemente dall'auto parcheggiata in doppia fila, se sono fortunato non dovrebbe restarci per molto. Mi avvio in quel edificio scuro su cui troneggia l'insegna lampeggiante rossa "Red Passion". E' come se le lamiere e le assi di legno siano sempre di più sul punto di crollare ogni volta che le rivedo. Come se volessero cadermi addosso e soffocarmi.
Raggiungo la fila davanti all'entrata scarsamente illuminata dall'insegna. E' quasi affascinante vedere quanta gente si accodi ogni notte davanti ai buttafuori in nero. Ci sono i sedicenni arrapati con le carte d'identità false, i quarantenni che cercano svago con un matrimonio andato male alle spalle, gli invitati delle feste di addio al celibato e anche qualche ragazza dell'altra sponda.
Tiro fuori un paio di occhiali da sole, non voglio che qualcuno mi riconosca. L'ultima cosa che mi serve ora è uno della Banda o un compagno di scuola che mi trattiene per qualche parole e domande snervanti. A scuola non sono il massimo della popolarità ma la gente mi conosce, nonostante non faccia nulla per piacergli. E conosco persone abbastanza disgustose da frequentare certi posti.
Passo davanti a tutti quelli della fila, beccandomi anche qualche 'vaffanculo', ma adesso m'importa solo di velocizzare i tempi prima di vomitare.
Purtroppo per me, i miei piani vengono fermati da una mano sconosciuta che mi blocca all'altezza del petto. "Chi ti credi di essere per passare davanti agli altri, pivellino?"
La voce dell'uomo mi è sconosciuta, non l'ho mai sentita e non riesco ad associarla a nessuno dei soliti tipi che lavorano qui. Alzo lo sguardo, facendo scendere gli occhiali sul viso. "Forse tu non mi conosci, ma sono Tom Kaulitz, il figlio di Simone, quella dello spettacolo delle undici."
"Sì, e io mi chiamo Mike Tyson, negretto, esci immediatamente dal mio campo visivo o ti spacco il culo." ride spingendomi indietro e facendomi cadere su quello dietro di me. "Nemmeno ti fossi inventato una balla decente! Non puoi essere suo figlio, Simone è bianca!"
Purtroppo non posso farci e fargli nulla, non saprei come giustificarmi e poi non voglio rogne. L'ultima volta sono finito in commissariato e a mia madre quasi veniva un infarto alla notizia. Ringhio sommessamente, me la pagherà, specie per come mi ha chiamato. Basterà una parola con Georg e compagnia. Adorano pestare quelli come lui.
"Hey, non mi hai sentito?! Ti ho detto di sparire!" sembra davvero incazzato, così mi giro e faccio come mi dice. Ma dove lo hanno trovato questo?
Bah, tanto l'entrata sul retro dovrebbe avere ancora il solito difetto di serratura.


§§§



Lecco quella liscia pelle bronzea, mentre già la mia mano si fa strada verso il bordo del top della bionda che si struscia sul mio petto. Lascio una scia di saliva che le percorre la gola, su e giù, mentre la sento ansimare nel mio orecchio. Le alzo piano l'indumento, prima di far sgusciare rapido il mio braccio, andando a stringere il seno nudo. C'era da aspettarselo: qui le dipendenti sprecano solo tempo a mettersi il reggiseno.
Lo stringo forte prima di sbatterla contro al muro più vicino e mordere il tratto di collo che ho leccato prima. Lei continua a fare quei versi da sgualdrina che non fanno altro che eccitarmi ancora di più, anche se credo di aver raggiunto il limite e ho un bisogno disperato di venire. Lei ha un gran bel seno, un gran bel fondoschiena e la mia stessa età. Di sicuro è stato più facile così che andare a rimorchiare in giro per discoteche, anche se solitamente non sopporto questo genere di club. Li trovo da sfigati.
Quella mi afferra il polso, proprio mentre mi accingo a stuzzicarle il capezzolo con le dita "Ok, è stato divertente, ma se vogliamo andare d'accordo devi capire una cosa: prima paghi, poi scopi."
Bevo un sorso dal bicchiere che ho in mano. Credo sia la quinta Piña colada o la settima. Forse è proprio tutto l'alcool che mi circola in corpo a non farmi sembrare poi tanto male questo posto. Quando Andreas aveva fermato la macchina davanti al locale credevo avessimo sbagliato indirizzo: edificio cadente, insegna di scarsa qualità, arredamento squallido. Però ci sono belle ragazze e si fanno pagare poco. Com'era quel detto? Nelle botti piccole sta il vino buono.
"Certo bellezza." annuisco mentre faccio per prendere il portafogli, trovando solo una tasca vuota "Merda, ma dove cazzo è?!"
Lei mi fissa battendo il piede a terra. Passano i minuti di vana ricerca ed è leggermente spazientita, si vede dalla faccia, anche se si trattiene davanti ad un cliente. Frugo ancora, esplorando ogni singolo angolo e ovviamente non trovo nulla se non stoffa. Nulla, assolutamente nulla. Faccio saettare lo sguardo dalla ragazza alla mia mano.
"Senti non lo trovo, eppure sono sicuro di averlo portato!" dico rispondendo alla sua espressione scocciata.
"Almeno ce l'hai l'età?" Io sgrano gli occhi. Dio, ma è una fissazione quella di scambiarmi per un ragazzino o cosa? A parte il fatto che ogni tanto vengo scambiato anche per una ragazzina…
"Ma per chi mi hai preso? Per un quattordicenne in calore che s'imbuca?" sto quasi urlando e non per sovrastare la musica orribile. Quella non si trattiene nemmeno più e mi butta addosso uno sguardo che esprime tutto il suo disappunto per dirlo con un termine dolce. Merda, adesso che faccio?!
"Beh, vai a trovarti un'altra che accetti credito, allora!" detto questo, si risistema la maglia e si avvicina ad un gruppo seduto a un tavolo che sembra pronto a sganciarne, di soldi.
Ci mancava solo che mi rubassero il portafogli. Non che me ne importi di un paio di centinaia di euro ma non ho nemmeno pagato il drink, anzi, i drink e non ho portato altro contante con me. Senza contare che ho un'erezione terribile che non so come placare. Resta solo da chiedere ad Andreas a questo punto.
Faccio vagare lo sguardo per il locale inondato da luci ad intermittenza e musica detestabile su cui ballano le cubiste. Del mio amico non c'è traccia da nessuna parte, né ai lati dei palchi, né nella zona bar. Probabilmente ha già trovato una o più ragazze che soddisfino i suo gusti e si è rinchiuso nelle stanze al piano sotterraneo. Sbuffo, senza avere la minima idea di come risolvere il problema.
Potrei andare a cercarlo, ma dubito che se anche riuscissi ad indovinare in quale camera si stia trastullando con chissà chi risponderebbe, se bussassi.
Fisso un po' il palco, dove una bella mora è appena salita in bikini mandando in visibilio vari spettatori. Dio, ho talmente bisogno di scopare!
I miei lamenti mentali vengono bruscamente interrotti da qualcosa che mi colpisce sulla spina dorsale. Finisco in ginocchio, il drink mi si versa addosso e sul pavimento, prima di lasciarmi scappare un sibilo frustrato; la prossima volta il locale lo scelgo io.
Il dolore pulsa, spandendosi sulla schiena e bruciando ogni centimetro di pelle.
"Ehy, levati di mezzo" mi dice una voce dietro di me; probabilmente è il demente che mi ha colpito. "Sai, dovrei passare."


§§§



La ragazza per terra mi sta fissando in modo strano. Volta la testa e spalanca gli occhi scuri come se avessi bestemmiato. Sembra che voglia dire qualcosa, ma dalle sue labbra non esce un suono, boccheggia solamente.
"Ti ho detto se puoi spostarti, ostruisci il passaggio lì davanti. Che poi, cosa diamine stai facendo, si può sapere? Ti senti male?" Pensandoci bene è davvero molto pallida, il viso diafano e scavato, le labbra quasi bianche. Sembra davvero un fantasma, magari sarebbe meglio accompagnarla in ospedale. Devo dire che è anche abbastanza carina, con quei capelli neri e lisci e gli occhi di una tonalità ambrata molto particolare. Sembra troppo vestita per essere una nuova, però.
"Non lavori qui, vero? Non ti ho mai vista prima" dico io quasi urlando per farmi sentire. Quella continua imperterrita a non spiccicare una parola. "Hey, ma ti senti bene?"
A questo punto sembra destarsi da quello strano trauma, alzandosi e fissandomi sconvolta. "Sto benissimo o almeno era così prima che tu mi sbattessi quella cazzo di porta sulla schiena, senza contare che sono un maschio esattamente come te e di sicuro non lavorerei in questo buco nemmeno se fossi una donna!" conclude con gli occhi fuori dalle orbite.
Spalanco la bocca. La voce grave, la mascella scolpita, il petto piatto... Oh mio Dio! Questa andrebbe inserita nel guinness delle figure di merda.
Eppure le sue labbra, il suo portamento. Tutto sembrava portare a credere che fosse una ragazza, anche molto bella. Mi sono lasciato ingannare fin troppo facilmente da quei capelli curatissimi e dal trucco pesante, avrei dovuto immaginarlo che è uno di quegli emo o come si chiamano quegli idioti che giocano a fare gli androgini depressi. Tanto, le lesbiche che frequentano questo posto sono le solite due o tre.
Resto impalato lì, inebetito dalla rivelazione. E chi non lo sarebbe?
Mi squadra ancora furente, le sopracciglia corrugate, il labbro tremante, come se stesse quasi per esplodere. Stringe i pugni, alzando il mento e la sua espressione si fa da furiosa a irritata. Penso che sia meglio scusarmi e andarmene, quella... quel ragazzo, mi fa paura.
Eppure è solo lievemente più alto di me e nemmeno tanto più robusto. C'è qualcosa di strano però, qualcosa che posso leggere nei suoi occhi nonostante le luci stravolgano la mia percezione visiva.
"Ehm... Io... " inizio balbettante, sperando che basti scusarmi, "Mi disp..." ma quello che d'ora in poi chiamerò l'Essere, per essere sicuro di non sbagliarmi sul sesso (non posso accettare che sia maschio) mi blocca con la mano. Sembra l'inquietante parodia di una Paris Hilton dark con un esaurimento da psicofarmaci.
"Non provarci nemmeno, chiunque tu sia!" dice esasperato, fissandosi la maglia inevitabilmente macchiata dal drink che gli si è versato addosso, probabilmente in seguito al colpo infertogli. "Hai già fatto fin troppo, credimi."
"Aspetta, lasciami fare qualcosa..." insisto, sperando che almeno così possa cancellargli dalla testa il pensiero di querelarmi. Chi lo sa, magari tornando a casa scopre che gli ho danneggiato il midollo spinale. "Magari posso aiutarti..."
Lui scoppia a ridere sguaiatamente, guardandomi dall'alto in basso. "Certo! Ricomprandomi la maglia di Gucci ultima collezione che hai macchiato in modo irreversibile magari! "
Alza un sopracciglio, che credo corrisponda ad "Allora?!". Mi schiarisco la voce. "Beh no, ma forse mia madre conosce un modo per smacchiarla..." ed indico la chiazza scura sul tessuto nero.
"Che?!" urla quello con voce acuta, ma credo sia molto, ma molto diseducato coprirmi le orecchie perché l'ho trovato semplicemente insopportabile. "Ma se questa maglia si può lavare solo a mano, a bassa temperatura e con detersivi delicati! Come pensi che possa smacchiarla tua madre? Probabilmente non ha mai visto un capo di questo livello."
Storco la bocca, stringendo i pugni. Calma e sangue freddo Tom con questo qui ci vuole pazienza, vedi di scusarti e vattene.
"Beh, in ogni caso mi dispiace molto... Adesso devo andare, mia madre mi aspetta." sfiato velocemente e senza voglia, voltandomi. Tanto non mi avrà neppure ascoltato, a cosa mi serve perdere tempo con uno del genere? Sarà il solito viziato figlio di papà che non merita ciò che ha e non sa riconoscere la sua fortuna. Ho già perso fin troppo tempo con persone di questo genere e non sono il tipo che ripete gli errori.
Però, mi arriva alle orecchie qualcosa che lui avrebbe fatto meglio a non dire mai, qualcosa che mi fa capire che la serata non rientrerà nei soliti programmi. "Ovvio, solo qui può lavorare quella che ti ha messo al mondo."
Spalanco gli occhi bloccandomi. Sento un moto di rabbia partirmi da dentro, una scossa elettrica che mi fa invertire la direzione senza nemmeno accorgermene. Torno da quel dannato tipo che si sta ancora fissando la maglietta ormai da buttare prima di afferrarlo per l'orlo della T-shirt. Gli lascio a malapena il tempo di rendersene conto che la mia mano chiusa a pungo si ritrova ad emettere un suono sordo al contatto con la sua guancia ossuta. Gli mollo la maglietta pronto a ripetere il gesto, gridandogli di non azzardarsi a rifarlo. Mi accorgo però che è caduto a terra reggendosi sulle mani per non sbattere il volto. Lo stronzo velocissimo si gira e mi tira un calcio dietro le gambe facendomi cadere in ginocchio. Sbatto violentemente contro il pavimento e una fitta lancinante si fa strada nelle mie ossa. Non ho nemmeno il tempo di gemere per il dolore che lo sento tirarmi per i dread in modo che il mio sguardo sia rivolto verso di lui, che mi sta fissando con un ghigno stampato in faccia.
"Stai tentando di farmi paura, negro?!" dice ghignando maggiormente "Beh, ci vuole altro che un comune cazzotto ben assestato."
Mi tira forte i capelli un'altra volta buttandomi disteso sul marmo. Sogghigna poi poggia il piede sul mio stomaco in modo che io rimanga a terra. "Sai, oggi avevo tanta di quella voglio di scopare che l'ultima cosa che avrei fatto sarebbe stata una rissa con un ragazzino in uno strip club! Ma a quanto pare vuoi costringermi a cambiare i programmi."
Affonda un po' il piede, lasciando che il suo peso mi schiacci lo stomaco. Serro le labbra, nonostante la sua spinta aumenti man mano. Non voglio lasciargli il gusto di sentirmi gemere per quanto faccia male.
Poi, di colpo, alza il piede affondandolo di nuovo nello stesso punto e io mi lascio scappare un urlo che gli provoca una mezza risata. “Bravo, urla, brutto pezzo di merda.”
Rifà la stessa cosa, ma stavolta sono pronto e gli tiro indietro il piede, facendogli perdere l'equilibrio e scivolare contro un tavolino ricoperto di bicchieri ricolmi. Il liquido e i frammenti di vetro gli si sparpagliano addosso. Ops! Adesso gli ho rovinato tutto il completo!
Mi ero seriamente dimenticato quanto fosse bello pestare qualcuno. Il gusto della lotta, la predominanza, la dominazione. Sangue e pugni. Puro spirito animale, niente regole o sentimentalismi. Tutti possono vincere. E sentire di essere il migliore era sempre fantastico. Ho sempre avuto quest'istinto, dopotutto, sono anche il capo di una banda. Anche se avevo deciso di smetterla con questa vita perché a volte una coscienza viene fuori anche a me non posso negare che mi fa sentire dannatamente bene. Provo una sensazione strana, come una scarica di adrenalina, che mi si propaga in tutto il corpo.

Scoppio a ridere, pentendomene subito dopo, quando ricompare il dolore all'addome e allo stomaco. Mi piego in due, abbracciandomi i fianchi con le mani.
Solo che non mi rendo conto che quel resistente figlio di puttana si è rialzato alla velocità della luce, almeno non prima che mi tiri uno schiaffo che mi fa ardere la guancia di dolore. Poi mi colpisce velocemente dall'altra parte e stavolta sento la carne lacerarsi e qualcosa di caldo colarmi sulla guancia. Le sue unghie sporche del mio sangue mi passano davanti agli occhi, mentre con una mano mi spinge sul pavimento, sbattendomi la testa sul marmo. Sento qualcosa bruciare, ma non è stato il colpo. Sento il sangue, lo vedo, ma è troppo per essere quello colatomi dalla guancia. Ho un sapore strano in bocca e i sensi atrofizzati.
Mi gira la testa e non riesco più a distinguere le cose, penso solo che a terra era pieno di vetri. "Merda... " La mia imprecazione si perde in un sibilo quando mi arriva un altro schiaffo e distinguo solo il suo viso. Deturpato da una maschera di odio e da una luce strana negli occhi chiudo i miei arrendendomi. Mi fa troppo male, sono stanco, tanto stanco.
Alla fine me lo sono meritato. So solo lamentarmi di quello che mi succede, senza reagire e senza combattere Che mi picchi pure. Come se mi avesse letto nel pensiero mi tira un potente schiaffo sulla guancia. Sono convinto che mi lascerà il segno. Continua così, con una scarica di pugni in cui non distinguo più nulla. Nemmeno la figura del mio aguzzino. Sento solo il dolore, sotto la sua scarica di colpi. Pugni e schiaffi che si alternano, scagliati con forza, a poca distanza l'uno dall'altro. Non credevo fosse in grado di picchiare così. Sembra così esile e indifeso.
Provo ad aprire gli occhi, colmi di lacrime che si trattengono da troppo tempo. E poi partono i calci, potenti e serrati, contro il mio fianco dolorante.
Tento di biascicare qualcosa, forse una richiesta di pietà. Così come i miei tentativi di rialzarmi o reagire finiscono vani. Le sue braccia mi tengono a terra e la sua bocca mi urla contro.
Non posso lasciarmi abbandonare così. Eppure è ciò che faccio, troppo provato da ogni cosa.
Perché nessuno fa niente? Non ho mai confidato nel buon animo di chi frequenta questo posto o delle persone in generale ma se solo ci fosse mia madre, il barista o qualcuno che lo fermi. Ci deve pur essere qualcuno che si renda conto di cosa stia facendo questo pazzo! Non ha tutte le rotelle a posto. Qualcuno lo aiuti, qualcuno mi aiuti.
Sta piangendo. Lo sento piangere. Che succede?! Magari non è lui ma i miei amici al mio funerale. Fa talmente male che potrei morire.

I singhiozzi disperati sono assolutamente i suoi. Sta farfugliando qualcosa dandomi la colpa di un omicidio. Chi è morto? E perché ne sarei il colpevole?
Non ho fatto nulla. Non è colpa mia, lo giuro. Non ho mai voluto fa soffrire nessuno.
Di colpo non sento più nessun peso sopra il mio stomaco. Si è fermato.

Sento una stanchezza spossante invadermi e il dolore coprirmi pulsante.
Ho sonno.


§§§



"Bill, basta, fermati!" Andreas mi afferra per la spalla costringendomi a voltare la testa. Non so più nemmeno da quanto tempo sto correndo, fuggito da quel posto. Volevo semplicemente scappare da quel ragazzo inerme e immobile in un lago di sangue.
"Mi spieghi perché diamine sei fuggito in quel modo? E' successo qualcosa?" il mio amico ha il fiatone, la faccia stravolta di quando vuole capire, ma non ci riesce. Se fossi in vena di scherzi direi che è la sua solita faccia.
Faccio per rispondere, ma la verità è che non lo so. Forse perché non volevo cacciarmi nei guai, altrimenti mio padre mi avrebbe fatto fuori. Però non mi è mai importato di questo. Perché stavolta è diverso?
Dio, per un istante ho creduto di averlo ammazzato.
Stava steso nel suo sangue colato da ogni parte. Ne avevo le mani impregnate. Pezzi di vetro rotti intorno alla sua testa e lo sguardo vacuo. Per un istante non ho nemmeno sentito il battito del suo cuore, quello che mi dava il ritmo, in tutto quel disastro. Mi sono fermato in quell'istante, fissando il rosso sparso ovunque, quasi stupendomi di come fossi stato capace di fare tutto quello, come se potessi illudermi di non essere stato io. Come se tutto quel rosso non fosse il colore che aveva sempre macchiato la mia vita.
Credo di aver urlato fissandolo.
Di una cosa sono certo. Respirava ancora quando l’ho lasciato correndo via. Quel ragazzo era così strano. Mi dava una sensazione strana. Così simile e così diversa.
"Tu...?" mi chiede il biondo, ridestandomi dalle immagini della nostra fallimentare serata ed invogliandomi a continuare il discorso.
"Io non lo so." dico sinceramente, stupendomi quasi della mia risposta. "So solo che adesso voglio andare a casa Andreas, per favore." Mi fissa alzando un sopracciglio, così provo ad insistere. "Per favore" non è un normale “per favore”. E’ il mio. Quello del Bill fragile che ho ammazzato un po' alla volta in questi anni.
Lui sospira, capendo che quando faccio così è perché non voglio parlare e rispetta la mia scelta. Forse uno dei suoi pochi pregi. Magari è solo una bonaria ingenuità o passeggera comprensione per chi lo accompagna nei guai di tutti i giorni. Lo vedo annuire, segno che per ora non chiederà spiegazioni. Rimaniamo per un po' in silenzio, nell'immobilità della notte poi il biondo si mette una mano in tasca, tirando fuori qualcosa di nero e rettangolare. Il mio portafogli?!
“Te l'avevo preso prima, in macchina, ma probabilmente mi hai risposto che potevo prenderlo senza neanche ascoltarmi" inizia balbettando "quando ti ho raggiunto è stato per ridartelo, ma hai iniziato a correre come un pazzo.” Me lo dice con la faccia dispiaciuta degna di una bambina di cinque anni che vuole il gelato. Conosco fin troppo bene quella faccia. La usiamo sempre per ottenere qualcosa. Purtroppo ci inganniamo anche vicendevolmente. Lo trovo troppo tenero quando fa così, non riuscirò mai a sgridarlo.

Prendo il portafogli bruscamente e mi guardo intorno tentando di riconoscere il vicolo in cui ci troviamo. E' buio, freddo e sporco. Come tutti i vicoli in questa cazzo di città.
"Ok" dico tentando mentalmente di fare il punto "Ti ricordi dove abbiamo parcheggiato?"
Lui annuisce, facendomi cenno di seguirlo.
Non parliamo più per il resto della serata ma qualcosa mi fa capire che ha vagamente intuito quello che è accaduto.
Dannato amico d'infanzia.


§§§



Sento un rumore strano come un continuo grattare. Poi una serie di voci indistinte e luci che mi passano davanti alle mie palpebre chiuse.
Sento una canzone dalle parole e il motivo inconfondibili anche da qui: Sound of silence, la canzone preferita di mia madre. Spalanco gli occhi e una luce bianca mi acceca. E’ ovunque, sulle pareti sulle lenzuola nei neon. Sono in ospedale.
La terza voce che accompagna Simon e Garfunkel si ferma mentre sento un peso scagliarsi addosso a me. "Oh mio dio Tom."
"Mamma?" chiedo con un grande sforzo e mentre gli ultimi dettagli della stanza stanno prendendo forma. Mi sento come se qualcuno mi avesse svegliato improvvisamente dopo una dormita di dodici ore.
"Sì, sono io piccolo." dice entrando nel mio campo visivo, mentre finisce la canzone che usciva dalla radio al mio fianco. Ha il viso stravolto, i capelli sciolti e il trucco colato sugli occhi. "Non hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare tesoro."
Mi accarezza convulsamente, torna quasi a piangere ma si trattiene. E' stato sempre così, non ha mai voluto che la vedessi debole, non ha mai voluto che mi concentrassi troppo su quello che provava lei. Mi conosce troppo bene per non sapere che per lei manderei tutto a puttane.
"Mi dispiace." provo a buttare fuori ma lei mi bacia tutto il viso, zittendomi.
"Non ti devi scusare tesoro è tutto a posto, tutto a posto, ora. " Magari lo fosse veramente mamma.
Resto vittima delle effusioni di mia madre ancora per un po', prima che un medico in tenuta bianca entri nella stanza con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Inquietantemente plastificato, aggiungerei, ma forse rientra nelle abilità obbligatorie per fare questo lavoro.
"Te la sei vista brutta" esordisce squadrando la mia cartella clinica "lesioni mediamente gravi sparse per tutto il corpo, una costola incrinata risistemata chirurgicamente e un coccio di vetro penetrato nel collo."
Sento mia madre trattenere il fiato vicino a me. Ma il dottore, avendolo notato, la consola. "Stia tranquilla, ormai è tutto passato, ha avuto molta fortuna."
Già, molta fortuna. Mezzo morto e agonizzante sul pavimento. Chi o cosa ha convinto quel ragazzo a fermarsi? Cosa lo ha spinto anche solo a picchiarmi? E, soprattutto, come mai mi faccio tutte queste domande? Dovrei fregarmene, ringraziare Dio o altro e tornare alla mia vita di sempre. Ma c'è qualcosa che mi fa tornare alla mente sempre le stesse immagini, per qualche strana ragione. Dovrei domandarmi perché ho perso la pazienza così facilmente e come fare per non farlo più accadere. Ho giurato di mettere la testa a posto, di rendere la mamma fiera di me e lo farò. Si fottano tutti, anche la Banda, mi vestirei pure decentemente se la rendesse felice.
Lei mi ha sempre dato tutto ciò che volevo anche se non poteva permetterselo, ha finto per anni per rendermi felice. Merita qualcosa di meglio, merita tutto.
E io glielo darò.
"Tom?" mi richiama proprio lei alla realtà. "posso sapere come diamine hai fatto a ridurti così?"
So benissimo che sa che mi sono picchiato con qualcuno, quindi tanto vale non mentire su nulla. "Mi sono picchiato con un damerino idiota che si era incazzato perché gli ho macchiato la maglia. E ha anche avuto le palle di offendermi, aveva davvero rotto il cazzo mamma, fidati! Se non l'avessi picchiato io lo avrebbe fatto qualcun altro di lì a poco." aggiungo immediatamente in mia difesa.
Mamma sospira, tenendosi la testa con una mano. "Tu sei troppo impulsivo Tom. E non dire che ti controlli, è questo il problema: ti controlli quando non dovresti e scoppi sulle cazzate. Meglio urlare contro qualcuno che se lo merita che pestare un ragazzo per un litigio di poco conto, sfogando tutta la rabbia accumulata nel corso della settimana."
Vorrei difendermi, dire che non era una cosa di poco conto, che nessuno può parlare a me e lei in quel modo. Mi anticipa alzandomi la testa. "Non importa, ormai è tutto passato... Ci toccherà pagare anche una parte delle spese mediche, non sono tutte coperte purtroppo."
Mi sento immediatamente in colpa. Probabilmente ci staccheranno l'elettricità da un momento all'altro, non paghiamo regolarmente le bollette. All’improvviso mi torna in mente una cosa che le dovevo dire. "Hey," dico puntellando mia madre sul braccio per farle girare lo sguardo verso di me "ti ho detto che forse ho trovato un nuovo lavoro?"

Note: dunque, so di non farmi vedere più da molto in questo posto, il che è un peccato, devo ammettere, perché mi piaceva abbastanza... In ogni caso volevo comunque che chiunque avesse letto la FF leggesse il terzo, anche perché mi pare che sia un vostro diritto... Beh, ecco tutto xD
Tornerò ogni tanto, ma non posso promettere eccessiva presenza.
 
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