III Capitolo
Mentre passeggiavamo cominciai a respirare quell’aria fredda. Era così pungente ma piacevole al contempo. Era motivo delle mie screpolature sulle labbra e delle mie mani così fredde eppure, quando la respiravo a pieni polmoni, mi faceva sentire viva. Ero come pervasa da una scossa che, ramificandosi per tutto il mio corpo, mi percorreva dal basso verso l’alto sotto forma di un istantaneo brivido.
Giulio sembrò accorgersene:” Hai così tanto freddo?”
- No no, sto bene. – Risposi io sorridendogli.
- Sicura? Vuoi che ti dia la mia sciarpa?
- No, tranquillo. Sto bene così.
- Allora, com’è andata la giornata?- Mi domandò.
- Così così. – Senza accorgermene la mia voce assunse una nota di tristezza.
Giulio mi guardò un po’ finché rassegnato alzò gli occhi al cielo e disse:” Alberto.”
- Già. – Dissi io senza nascondermi al mio migliore amico. – E’ che non ce la faccio a non pensare a lui. –
- Devi sforzarti di farlo però, non voglio che tu stia così.
- Sì, lo so. Solo che credevo che non fosse così.
- Ele, nessuno è ciò che credi che sia. Nemmeno io lo sono e neanche tu lo sei.
Sono circa sedici anni che ci conosciamo e posso dire di conoscerti più di molte altre persone che ti circondano. Non posso però affermare di conoscerti pienamente, le persone cambiano, hanno mille sfaccettature. Nessuno, quindi, è in grado di poter affermare con certezza di conoscere qualcuno quando in realtà nemmeno noi ci conosciamo. Ci sorprendiamo anche di noi stessi a volte.
Quello che voglio farti capire, è che non devi illuderti. Questo ragazzo non lo conoscevi nemmeno da tanto, però te ne sei innamorata e hai cominciato a fantasticare.
- Hai maledettamente ragione ma che ci posso fare? Mi aveva dato una buona impressione e…
- Brava, hai detto bene. Alberto ti ha dato solo che un’
impressione.
Stavo per controbattere la sua fulminea risposta ma preferii tacere. Aveva ragione e non potevo dirgli nulla.
Conoscevo Alberto da poco più di una settimana e avevo notato un interesse da parte sua verso di me. Non mi dispiaceva affatto, anzi, mi faceva piacere sapere di affascinarlo ma non appena lo vidi scambiarsi diversi baci ed abbracci con ragazze ogni volta diverse, capii che non era il ragazzo sincero e gentile che mi voleva far credere.
In quei pochi giorni però avevamo scoperto molti punti in comune e mi piaceva la sua compagnia; eravamo nello stesso canale di Scienze Naturali e spesso ci mettevamo vicini a lezione.
Quando lo vidi per la prima volta stava scrivendo degli appunti di chimica sul proprio quaderno ad anelli. Notai che era mancino, proprio come me, e sotto la sua mano aveva delle macchie d’inchiostro dovute al passaggio d’ essa sulle lettere ancora fresche di china. Per me è sempre stato un vero disastro, mi ritrovavo libri e quaderni pieni di chiazze colorate e sbaffature di ogni genere. La precisione non era affatto per me, me lo diceva sempre il mio insegnante di tecnica alle medie.
Quando vidi Alberto accorgersi delle macchie di china sulla sua mano, gli offrii educatamente un fazzoletto e, scherzando, gli feci notare che anche io avevo il suo stesso problema.
Cominciammo a mano a mano a parlare e nel corso di quelle cinque ore di Università, scoprii che anche lui da piccolo sognava di diventare uno scienziato e di fare mille esperimenti con provette che scoppiavano in mano non appena si aggiungeva un po’ di liquido verdastro o di inventare una pozione in grado di renderci invisibili in determinate situazioni. Tutte queste fantasie però scomparvero come d’incanto davanti a quei libri pieni di reazioni chimiche combinate fra i più diversi elementi. Il liceo ci rese consci del fatto che il mestiere di scienziati, non faceva affatto per noi ma per il resto delle altre materie scientifiche eravamo sempre stati attratti. Amavamo la biologia; trovavamo alquanto interessante scoprire cosa accadeva all’interno del nostro corpo. Gli raccontai che da piccola rimanevo ipnotizzata davanti alla tv quando trasmettevano
Esplorando il corpo umano e anche lui faceva lo stesso. Era uno dei nostri cartoni preferiti: divertiva e sapeva insegnare molto bene ai bambini come funzionasse il proprio corpo.
Una folata di vento gelido mi aggredì il volto non appena entrammo in una via meno riparata; mi bastò per farmi scendere dalle nuvole e farmi notare che ero sotto braccio al mio amico Giulio mentre percorrevamo il sentiero di un parco: col passare degli anni ci aveva visti crescere. Quando non sapevamo dove andare, decidevamo di passeggiare in quel giardinetto a cui eravamo affezionati.
Era sempre bello tornarci con lui. Da piccoli i nostri genitori ci portavano lì la domenica mattina e ci lasciavano giocare per tutta la mattinata.
Io e il mio amico aspettavamo con ansia quel giorno perché solo in quella mattina veniva
Il signore dei pony così lo chiamavamo con gli occhi sgranati ed un sorriso che arrivava alle orecchie quando lo vedevamo entrare nel giardino seguito da un carretto trainato da dei pony . Ogni volta veniva assalito da decine e decine di bambini pronti per percorrere il parco in lungo e in largo ma io e Giulio eravamo i suoi preferiti così ci prendeva in braccio e ci faceva cavalcare il dorso di quei piccoli cavalli che amavamo tanto.
- Uffa, voglio tornare piccola.- Dissi nostalgica.
- Ahah per poter cadere dai pony?- Chiese scherzando, Giulio.
- Antipatico.- Anche se non volevo, mi misi a ridere al solo pensiero di tutte le mie cadute.
- E dai, sto giocando.
- Vogliamo parlare invece di quella volta in cui ti sei preso quella pallonata in testa e sei caduto? Ahah ricordo ancora la tua espressione disorientata quando ti sei rialzato.
- E io ricordo ancora il dolore alla testa. Ha fatto male eh!
- Ne risente ancora oggi il tuo cervello, è vero?
- Ma quanto sei simpatica oggi eh? – Domandò lui mentre mi prese le guance e le strinse fra il pollice ed il medio.
- Ahi!
- Ti ho fatto male?- Chiese Giulio con dolcezza mentre lasciava la presa.
- Sì!- Esclamai facendo la finta offesa.
- Bene, era quello che volevo!
Ci mettemmo a ridere mentre io gli diedi una lieve spinta.
Dopo aver fatto una breve passeggiata, ci sedemmo su una panchina.
Lasciai cadere la testa su una spalla di Giulio mentre lui appoggiava delicatamente la sua sulla mia e dopo aver osservato un po’ i bambini giocare, ripresi il discorso su Alberto e raccontai gli altri particolari della storia al mio amico.
- Come ti senti adesso?- Mi chiese cortesemente Giulio, con la sua voce calda, una volta finito il mio sfogo.
- Sto meglio, grazie. Mi fa sempre bene parlarti e stare in tua compagnia. Grazie per tutto quel che fai per me.
- Non devi ringraziarmi, io sono qui per te perché voglio che tu stia sempre bene. Non voglio che il sorriso sparisca dal tuo viso, voglio solo la tua felicità.
Con molta timidezza e con un nodo alla gola, dissi:” Ti voglio bene.”
- Ti voglio bene anche io, più di quanto tu possa credere. – Alzò la sua testa da sopra la mia e mi diede un bacio sulla fronte.