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Foglie Rosse, the GazettE - Shounen-ai

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kirari.
CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 18:58




Questa fanfiction è stata pubblicata anche sul sito EFP, >>QUI<<.
E' una fanfic vecchia, scusate per gli eventuali errori ._.

Foglie Rosse



« Buongiorno signor Takashima! Come sta oggi? » la mia solita entrata nella stanza. Il mio compito era anche quello di mostrarmi sempre allegro, anche quando ero di umore nero e avrei voluto impiccarmi al soffitto. Ma mi contenevo, ricordando a me stesso che tutte le persone presenti in quel cazzo di edificio a breve sarebbero morte. Parliamo di un ospizio, dopotutto.
« Come ieri, Ryo. E tu? » mi rispose e io gli sorrisi.
« Come ieri. »
Il signor Takashima era in assoluto il mio paziente preferito. Era ancora parecchio lucido nonostante l'età e l'aria persa che aveva di natura, in più aveva la fantastica qualità di farsi i cazzi propri quand'era proprio il caso di farseli. Durante le pause stavo sempre nella sua stanza a fargli compagnia, così tanto per fare. Gli leggevo il giornale (lui diceva che non vedeva bene, ma credo fosse questione di pigrizia) e ci perdevamo in lunghi e intensi momenti di silenzio. Non quel silenzio pesante di chi non sa cosa dire, ma quel silenzio contemplativo in cui entrambi eravamo liberi di pensare ai fatti nostri indisturbati.
Effettivamente, da quando convivevo con Yumi, il tempo per starmene per i fatti miei in completa tranquillità si era velocemente dissolto. Vivevamo in un monolocale a Sugamo, un buco. Non potevamo permetterci molto altro, con i nostri stipendi miseri. Lei lavorava come cameriera, io come assistente in un ospizio. La laurea mi aveva condotto verso uno degl'ultimi lavori che avrei pensato di fare. Credevo sarebbe stato un lavoro temporaneo, non volevo assistere vecchi dementi in punto di morte per tutta la vita. Lo credevo, finchè all'ospizio non arrivò il signor Takashima. Si dice che le persone anziane hanno tanto da raccontare e che ne sanno più loro del mondo di tutti i libri che si possono leggere in una vita. Lavoravo all'ospizio già da un po', ma ancora non avevo trovato quella persona che me lo provasse, prima di lui.
Il signor Takashima era buffo, diverso da altri. I suoi occhi erano color cioccolato, più chiari, le sue labbra, ormai raggrinzite, mostravano comunque una linea particolare. Lo guardavo e immaginavo che uomo bellissimo doveva esser stato da giovane. Aveva una chitarra acustica appoggiata alla parete, a nessuno era concessa toccarla, e nessuna foto sul comodino, nessun appiglio con i ricordi, niente di niente. Solo lui e la chitarra, nonostante dubitavo avesse ancora la mano abbastanza precisa a ferma per suonarla.
Anche quel giorno, come tutti gli altri, mi sedetti sullo sgabello accanto al suo letto, con il giornale in mano.
« Che notizie interessanti ci sono oggi? » chiesi al nulla, ma lui mi interruppe.
« Ryosan... tu sei felice? » mi chiese d'improvviso, stravolgendo per la prima volta quel patto silenzioso che avevamo stipulato, infrangendo quel muro di freddezza che avevamo costruito per protezione, probabilmente.
Lo guardai un attimo perplesso, corrucciando le sopracciglia e assumendo un'espressione forse non propriamente intelligente, in quanto le labbra del signor Takashima si storsero in un mezzo sorriso e i suoi occhi tondi e lucidi si accesero, in una smorfia che in un altro contesto probabilmente avrebbe fatto sorridere anche me.
« Perchè me lo chiede? » domandai incerto, sentendomi inspiegabilmente a disagio, al punto da nascondere la cosa muovendomi irrequieto sulla sedia.
« Per curiosità, volevo solo sapere se la vita che stai conducendo ti soddisfa. » spiegò con la sua voce strascicata e roca, mentre i suoi occhi socchiusi si perdevano a studiare intensamente un punto non ben indefinito del muro mortalmente bianco davanti a se. Lo imitai, mettendomi ad osservare quello stesso punto, ma non vedendoci nulla di significativo, in realtà. Ma lui... chissà lui cosa ci vedeva?
Mi riscossi da quei pensieri e mi schiarii la voce, per poi porre la parola fine su quel discorso scomodo dando una risposta che apparve falsa perfino alle mie orecchie.
« Bhe... si, sono felice. »
Il signor Takashima non tornò a posare subito i suoi occhi su di me e il lungo tempo che ci impiegò per rispondermi, per la prima volta creò tra di noi un silenzio scomodo che mi rese ulteriormente ansioso. Probabilmente era questo il motivo che mi spingeva a costruire tra me e gli altri un muro solido, per il semplice fatto che con i sentimenti non ci sapevo fare, tantomeno esternarli.
« Sul serio? » mi chiese semplicemente, con un tono talmente inespressivo da farmi credere che mi stesse sul serio prendendo in giro. Gli riservai uno sguardo infastidito che non sembrò infondergli alcuna reazione di sorta, cosa che servì solo a infastidirmi di più.
« Certo. » sibilai scocciato, e sta volta gli occhi del signor Takashima si persero oltre la finestra, mentre i suoi occhi si facevano lucidi di ricordi.
« Anch'io ho trascorso tutta la mia vita convinto di esserlo, invece adesso sono pieno di rimpianti. Mi pento di aver sposato mia moglie, di aver accantonato la musica per lei, di non aver passato la mia esistenza accanto alla persona che amavo davvero... »
All'improvviso, le sue parole iniziarono a rimbalzarmi nella mente. Per la prima volta, un velo oscuro sembrò posarsi su di me, inglobandomi in pensieri in cui spesso mi rifiutavo di immergermi, per il semplice fatto che mi terrorizzavano. Ero terrorizzato all'idea che un giorno mi sarei reso conto che tutto quello che stavo facendo non presentava vie di fuga e che ormai non avrei potuto più tornare indietro, rimanendo incastrato in un'esistenza che non mi apparteneva.
Il mio vortice di pensieri venne interrotto dal rumore del cassetto del comodino che venne aperto e poi richiuso. Il signor Takashima mi sventolò elegantemente sotto al naso una vecchia fotografia in bianco e nero, ingiallita e rovinata dal tempo.
« Guarda. » mi ordinò e io presi il piccolo pezzo di carta, potendo scoprire quanto effettivamente l'uomo che avevo di fronte fosse stato bello, un tempo. La foto ritraeva un uomo nel pieno del vigore e della giovinezza, i capelli neri acconciati in un taglio elegante e tipico di quei tempi, le sopracciglia che denotavano intelligenza, un paio di occhi socchiusi dal sorriso gentile che aveva in volto, le labbra carnose dal taglio particolare, la linea decisa della mascella... se non fossi stato rigorosamente etero, avrei detto che il signor Takashima ai bei tempi era stato un gran bel pezzo d'uomo.
« E' lei? » chiesi emozionato, quasi contento che avesse deciso di condividere con me qualcosa del suo passato, un qualcosa che custodiva gelosamente e che forse gli procurava solo dolorosa nostalgia.
« Si » mi rispose con voce piatta e quando gli riporsi la foto, lui ne accarezzò la superficie con occhi spenti, nel modo più triste che avessi mai visto. Il signor Takashima desiderava ardentemente tornare indietro, lo capii veramente solo in quel momento.
« Era molto bello. » gli confessai senza un motivo preciso, cosa di cui mi pentii subito dopo, quando i suoi occhi vacui tornarono a puntarsi nei miei e il suo sorriso che avrei definito ironico mi investì come un fiume in piena, facendomi sentire mortalmente in imbarazzo. Non avrei mai sopportato l'idea che la mia eterosessualità venisse messa in dubbio, ma ogni sorta di imbarazzo venne spazzato via dal viso più malinconico con cui i miei occhi potessero venire a contatto.
« Io ormai sono vecchio, ma tu sei ancora in tempo. Ricomincia da capo. » mi disse, quasi come fosse una preghiera.
Mi trovai ad essere infastidito. Quella era la mia vita, spettava solo a me decidere cosa farne e la sua invadenza non poteva essere altro che inopportuna. Dopotutto lui restava solo un paziente e io solo un comunissimo assistente.
« La ringrazio ma io sto benissimo così. » risposi freddamente, alzandomi dalla sedia per andarmene e tornare al mio lavoro. Eppure non riuscii ad ignorare quelle parole che avvertii indistintamente, quando uscii dalla stanza:
« Ricomincia da capo, Ryo. »

***


« Suzuki, puoi buttarla quella roba, tanto non verrà nessuno a prenderla. »
Abbassai lo sguardo sul piccolo scatolone chiuso, contenente le poche cose del signor Takashima.
Era buffo. Quella stessa mattina, quando ero arrivato al lavoro, passando per i corridoi dell'ospizio avevo sentito indistintamente una voce femminile provenire da una televisione accesa. Trasmettevano il meteo, dicevano che a Tokyo avrebbe piovuto tutto il giorno. Nello stesso istante in cui entrai nella stanza del signor Takashima, trovandola vuota e mortalmente fredda, capii che mentre la ragazza carina che presentava il meteo sorrideva raggiante alla telecamera, dentro di me si stava scatenando il temporale più distruttivo della storia.
Avevo aspettato tutto il giorno che qualcuno della famiglia del signor Takashima venisse a prendere le sue cose, ma non si era fatto vivo nessuno e nessuno sembrava interessato alla morte dell'uomo.
La gente faceva schifo. Quel giorno me ne resi conto chiaramente.
« Della chitarra cosa ne faccio? » chiesi stancamente a Moriyama, che era la capo infermiera, un'obesona stronza a cui avrei felicemente riempito la faccia di sputi. Lei si strinse nelle spalle, aprendo la sua cartellina con indifferenza e dando un veloce sguardo alle sue scartoffie.
« Buttala. Chi vorrebbe mai una chitarra brutta e vecchia come quella? Anche vendendola non ci si ricaverebbe niente. » masticò con indifferenza, per poi ricominciare il suo giro di controllo in tutte le stanze. La mandai mentalmente a cagare, prima di sospirare pesantemente e abbassare lo sguardo sul contenitore di cartone che avevo appoggiato sulle ginocchia.
Ormai non c'era proprio niente da fare, vero?
Afferrai la chitarra e me la caricai in spalla, portandomi dietro anche lo scatolone, intenzionato davvero a buttare tutto, ma quando aprii uno dei bidoni della spazzatura sul retro dell'ospizio, mi ritrovai improvvisamente a cambiare idea. Il bidone era pieno di altri scatoloni come quello che avevo in mano, tutti vecchi ricordi di persone ormai morte a cui nessuno si era mai interessato. Era davvero giusto così?
Io tenevo sinceramente al signor Takashima, non sarebbe stato un insulto alla sua memoria buttare la sua amata chitarra, l'unica cosa che lui aveva avuto il disperato bisogno di vedere accanto a se ogni giorno, in un bidone dell'immondizia?
Io ero sul serio così insensibile?
Senza pensarci, tornai sui miei passi, diretto a casa. Il mio turno era finito.
Decisi di tornare a casa a piedi, tanto non era troppo distante e fare due passi era proprio quello che mi ci voleva per sbollire la delusione e l'insoddisfazione. Il lavoro non sarebbe mai più stato lo stesso senza il signor Takashima. Iniziai a riflettere sul fatto che avrei anche potuto iniziare a cercare un altro lavoro e poi licenziarmi, ormai non m'interessava più continuare a lavorare lì.
Alzai lo sguardo sul cielo che si stava annuvolando: evidentemente le previsioni erano corrette. Camminavo per una delle strade illuminate dalle vetrine dei negozi e affollate di gente, quando lo incontrai per la prima volta.
La cosa che mi costrinse a rallentare il passo, fu il suono delicato e dolce di una chitarra. Un ragazzo dai capelli biondi era seduto su una delle panchine in metallo che accostavano il muretto. Un chitarra acustica in braccio e un paio di liceali adoranti attorno, che pigolavano a destra e a manca quanto fosse bravo. Ovviamente era un tentativo mal riuscito di abbordaggio. Il ragazzo smise di suonare e quando alzò gli occhi su di me, mi venne quasi un ictus.
Il bellissimo ragazzo biondo puntò i suoi occhi color cioccolato nei miei, occhi che si assottigliarono quando si aprì in un sorriso che metteva in mostra i denti forti e un po' rovinati dal fumo tra le labbra rosse dalla forma particolare.
Quello che avevo di fronte era la versione moderna e a colori del signor Takashima da giovane. Cercai disperatamente di distogliere gli occhi comicamente sbarrati dalla sua faccia e ricominciare a camminare, ma proprio il mio corpo non sembrava avere la minima intenzione di smuoversi da dov'era. Dovevo seriamente avere la faccia più stupida che si fosse mai vista.
Le ragazzine se ne andarono, quando appurarono che proprio non c'era modo di attirare l'attenzione del bel giovane e tantomeno di interrompere il nostro intenso fissarci negl'occhi.
Pensai che probabilmente la mia era solo stupida suggestione: ma si, ero solo rimasto profondamente scosso dall'accaduto, niente di irreparabile. Bastava solo che tornassi a casa, dessi un bacio a Yumi, mi facessi un rigenerante bagno caldo e poi tutto sarebbe tornato a posto, come sempre.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio perfettamente cesellato, prima di schiudere le labbra e dire:
« C'è qualcosa che non va? »
La sua voce. La sua voce, porca zozza!
Si, decisamente, dovevo essere impazzito.
« No... ehm, è solo che lei assomiglia molto a una persona che conosco... cioè, che conoscevo... » farneticai con l'aria di un pazzo squilibrato, forse gesticolando esageratamente. Lui mi regalò uno sguardo perplesso, inclinando leggermente il capo; forse stava pensando a dove poteva avermi già visto o qualcosa di simile. Restammo in silenzio qualche altro secondo, semplicemente immobili, quando mi ricordai che dovevo sembrare un povero coglione e che probabilmente stavo anche facendo una figura pessima, quindi scossi la testa e feci per andarmene, quando lui mi bloccò.
« Resteresti un po' qui, se non hai fretta? »
Come potevo dirgli di no?
Mi sedetti accanto a lui, a parlare di niente per quasi un'ora, così, come se fosse tutto assolutamente normale.
« Come ti chiami? » gli chiesi dopo un po', interrompendo il silenzio che si era venuto a creare, interrotto solo dal rumore prodotto dal traffico, dai passanti e dalla leggera melodia della sua chitarra.
« Kouyou » rispose, e senza smettere di suonare alzò gli occhi color cioccolato su di me, che alla luce esterna sembravano ancora più chiari ed intensi.
Kouyou... foglie rosse. Eravamo proprio alle porte della stagione del Kouyou, il magnifico periodo dell'anno in cui le foglie degli alberi cambiavano colore sfoggiando magnifiche tonalità di rosso, giallo e oro. Mi chiesi se fosse stato solo un caso il fatto che io avessi perso il signor Takashima e poi incontrato Kouyou proprio in quella stagione.
« E tu? » chiese di rimando.
« Ryo Suzuki. » risposi passivamente, tirando fuori dalla tasca della giacca un pacchetto di sigarette; ne presi una e l'accesi. Nicotina. Ecco la soluzione a tutto. Yumi non voleva mai che fumassi quand'ero a casa, quindi le pause dal lavoro erano gli unici momenti in cui mi potevo concedere qualche sigaretta.
« Quanti anni hai? » continuai a chiedere.
« Ventisette. E tu? » fece con un sorriso, ripetendosi, mentre il vento gli faceva ondeggiare qualche ciocca di capelli davanti al viso. Mentre lo guardavo, pensai che avesse un profilo bellissimo.
« Ventisette. » lo imitai, rendendomi conto che le coincidenze stavano aumentando a vista d'occhio.
Restai a fissare con aria inespressiva il movimento delle sue dita sulle corde. Le pizzicava gentilmente, in una carezza continua. La melodia era splendida e mai sentita prima, mi chiesi se fosse stato lui a comporla. I miei occhi risalirono fino al suo viso e allora vidi che mi stava fissando con quei suoi occhi espressivi, accennando a un breve sorriso. Avrei voluto continuare a riempirlo di domande, ma lui infranse i miei piani precedendomi.
« Anche tu suoni la chitarra? Vedo che ne hai una con te. » accennò con il capo alla chitarra del signor Takashima che avevo appoggiato accanto a me sulla panchina.
« Oh, nono! Questo è solo... il ricordo di una persona che non c'è più. » spiegai con un sospiro, abbassando lo sguardo.
« Mi spiace. » disse solo e nonostante il tono del tutto inespressivo, mi era sembrato sinceramente dispiaciuto.
« Comunque sei davvero bravo, è un peccato che quasi nessuno si fermi ad ascoltare... in questa città a nessuno frega niente di nessuno. » commentai tirando un ultimo tiro alla sigaretta prima di gettarla a terra e spegnerla. Alzai di nuovo gli occhi su di lui, notando che continuava a guardarmi fisso e un sorriso gli incurvò gli angoli della bocca all'insù.
« Non importa. » disse con leggerezza, tornando finalmente a prestare attenzione al proprio strumento.
Diedi una veloce occhiata al mio orologio, erano quasi le sette. Immaginai la faccia preoccupata di Yumi, che guardando ossessivamente l'orologio si chiedeva dove fossi e cosa stessi facendo per essere così tanto in ritardo. Sospirai: si, dovevo proprio tornare a casa. Peccato che il mio corpo non avesse molta gli di alzarsi.
« Ora credo che dovrei tornare a casa... la mia ragazza si starà preoccupando. » dissi senza un motivo preciso, recuperando le mie cose velocemente.
« Hai la ragazza? » mi chiese, e il tono sorpreso e quasi deluso che usò non potè far altro che inquietarmi.
Feci forza su me stesso per decidermi ad alzarmi e mettermi la chitarra in spalla. Annuii alla sua domanda e poi feci qualche passo indietro, facendogli intendere che dovevo proprio andarmene.
« Bhe, allora ciao... »
« Mi piacerebbe rivederti. » mi bloccò così, con questa semplice frase. Il fatto era questo. Me n'ero reso conto già da un po', anche se era una vergogna ammettere una cosa simile. Il signor Takashima era semplicemente la persona adatta a me, caratterialmente parlando. Una persona modesta, piacevole, seria, che ti ascolta, riservata e che, come già detto, si fa i cazzi propri. Lui era esattamente il tipo di persona con cui avrei trascorso felicemente la mia vita. Ritrovarmi di fronte la sua versione giovane e viva, seppur in versione maschile, mi faceva vacillare inesorabilmente.
In quel momento mi rimproverai mentalmente: avrei dovuto fregarmene e andare dritto a casa, invece che fermarmi.
« Mh... verrò ad ascoltarti ancora domani; dove suonerai? » gli chiesi incerto e lui mi regalò il sorriso più bello che avessi mai visto e mi sentii quasi felice, per il semplice fatto che lui lo era. Era contento perchè ci saremmo rivisti...
« Dove vuoi tu. »
Era certo, stavo impazzendo.
« Allora rincontriamoci di nuovo qui. »
Compresi troppo tardi quanto fascino esercitassero su di me i suoi occhi, che alla luce diventavano di un intenso color ambrato.
Ormai c'ero dentro.

***


Casa mia era una piccola palazzina a tre piani, vecchia, anonima e con le facciate esterne di un intenso color bianco sporco. Io e Yumi abitavamo all'ultimo piano, questo significava che ogni giorno avevo tre piani di scale da fare a piedi diverse volte, sia per tornare a casa che per uscire. Era mortalmente scomodo. Tutto era scomodo nella mia vita, com'era scomodo l'ingresso minuscolo dell'appartamento, in cui erano ammucchiate le scarpe.
« Ryo, cosa sono quelle cose? » mi chiese Yumi appena varcai la porta di casa, facendomi aprire in una smorfia di disappunto. Ormai non mi salutava neppure più quando tornavo a casa dal lavoro. E se eravamo a quel punto ancora prima di sposarci, non osavo immaginare come sarebbe stato dopo.
Appoggiai la chitarra e la scatola a terra, giusto il tempo di togliermi le scarpe e regalare a Yumi un mezzo sorriso sghembo.
« Nulla di che. Oggi un paziente è morto, nessuno è venuto a prendere le sue cose, per cui ho pensato di tenerle. »
Yumi appoggiò le mani sui fianchi, mentre il suo viso indispettito preannunciava una delle sue solite lunghe lamentele che mi avrebbero triturato i coglioni fino a non poterne più. Di conseguenza, ripresi su le cose del signor Takashima e filai spedito in camera da letto.
« Ryo, tesoro, ascolta: mi spiace che quel signore sia morto, ma lo vedi anche tu come siamo ridotti, questo appartamento è troppo piccolo e se tu porti a casa cose inutili, andrà a finire che non riusciremo neanche più o muoverci! »
Avrei ardentemente voluto spararle, o tirarle qualche sberla, almeno, ma mi trattenei, ricordandomi che se avessi alzato le mani su di lei mi sarebbe aspettata la galera e non avevo troppa voglia di andarci. Quindi presi un profondo respiro, chiusi un attimo gli occhi per ritrovare lucidità e poi mi voltai verso di lei con un sorriso falso sulle labbra.
« Scusa, amore, hai ragione. Me ne sbarazzerò. » risposi con voce forzatamente gentile e lei mi regalò un grande sorriso comprensivo e falsamente dispiaciuto, prima di voltarsi e lasciarmi solo nella stanza. Che sciocco, avrei dovuto ricordarmelo da solo che Yumi non mi avrebbe mai permesso di tenere quelle cose, avrei dovuto buttarle subito.
Presi lo scatolone e lo misi a terra accanto al comodino, per poi sdraiarmi stancamente sul letto. I miei occhi si persero ad osservare il soffitto intensamente bianco sopra di me, sbuffando sonoramente.
Volevo sinceramente bene a Yumi, ma con il fatto che entrambi eravamo sempre fortemente stressati per il lavoro, alla fine non facevamo altro che riversare l'uno sull'altra il nostro nervosismo, lei specialmente, perchè era suscettibile di natura, io mi limitavo a coltivare il grande hobby del mutismo quand'ero a casa. Non perchè avevo paura di affrontarla, ma per il semplice fatto che se ci fossimo messi a litigare, le cose sarebbero solo peggiorate.
Contiamo inoltre che a causa della stanchezza anche i momenti d'intimità si erano dimezzati, eppure non me la sentivo di lamentarmi. All'apparenza tutto andava bene nella mia vita: avevo un lavoro fisso, una casa fortunatamente distante dai miei genitori, una ragazza particolarmente carina con cui condividevo tutto fin dai tempi del liceo, che oltre a lavorare ogni giorno mi preparava colazione, pranzo, cena e per di più riordinava casa nei ritagli di tempo. I miei amici mi dicevano addirittura che m'invidiavano, senza sapere che la nostra storia era piena di crepe, sotto lo strato lucido che mostrava. I cocci erano tenuti insieme dalla vita quotidiana che faceva da collante, per il semplice fatto che io e lei stavamo insieme da una vita, lasciarci avrebbe significato dire addio a ogni cosa, stravolgendo la nostra solita routine, e probabilmente ne avevamo paura.
E poi, in ogni caso, a me andava benissimo così.
"Anch'io ho trascorso tutta la mia vita convinto di esserlo, invece adesso sono pieno di rimpianti. Mi pento di aver sposato mia moglie, di aver accantonato la musica per lei, di non aver passato la mia esistenza accanto alla persona che amavo davvero..."
Chiusi intensamente gli occhi, cercando di scacciare dalla mia testa la voce del signor Takashima, ma invece di annullarla, l'amplificai. Erano trascorse solo due settimane da quella discussione, eppure non riuscivo proprio a dimenticarla, risuonava nel mio cervello come un disco rotto, fino a non sopportarla.
Che cosa mi stava succedendo? Che cosa dovevo fare?
Pregai che qualcuno, chiunque, mi desse una risposta.
Quella notte non riuscii a chiudere occhi, perseguitato da sogni che non riuscivo a comprendere.
Le uniche cose che ricordai al risveglio, furono tante, tantissime foglie rosse spazzate dal vento e mi ritrovai ad avere un unico nome sulla punta della lingua, ma non trovai mai il coraggio di pronunciarlo, finchè non incontrai di nuovo il suo proprietario...

Kouyou era bellissimo seduto su quella vecchia panchina in legno, in quel piccolo parchetto di periferia che era diventato il nostro rifugio personale. Il suolo era ricoperto da uno strato di foglie rosse e gialle che sembravano messe lì a posta per lui, per onorare il suo nome o più semplicemente la sua esistenza.
I capelli biondi, la carnagione chiara, gli occhi intensi... tutto di lui sembrava acquistare colori sgargianti e dalla bellezza inaudita, quand'era immerso in quel bellissimo paesaggio; anch'io mi sentivo finalmente vivo, la presenza di Kouyou e le dolci melodie che creava con la chitarra sembravano in grado di depurare per qualche istante il mio animo contaminato dalla vita stressante in cui mi ero ritrovato.
Ci vedevamo tutti i giorni da quasi due settimane e tutti avevano notato quanto il mio umore fosse velocemente cambiato, in primis Yumi che aveva iniziato a sospettare segretamente di un mio tradimento. Ma io effettivamente la stavo tradendo, non fisicamente, ma con la mente e il cuore lo facevo di continuo.
Non sapevo bene che rapporto si fosse venuto a creare tra me e Kouyou e in fondo non m'interessava neppure scoprirlo, l'unica cosa che sapevo era che noi stavamo bene assieme, il resto era superfluo. Kouyou era davvero un mondo a parte per me...
Lui non abitava a Tokyo, diciamo che si era preso una pausa dal lavoro -lavorava in un negozio di fiori, pensai che non potesse esistere mestiere più adatto a lui- per farsi un giro della Capitale, anche perchè mi aveva spiegato che stava cercando una persona, ma era rimasto sul vago, facendomi comunque capire che si trattava di un vecchio parente.
Adoravo ogni cosa della sua vita. Adoravo il modo in cui si impegnava per parlare di musica e l'espressione concentrata che metteva su. Adoravo quei brevi momenti in cui si metteva a parlare a raffica di se stesso e io mi immaginavo tutto; la sua casa, i suoi genitori, le sue sorelle, i suoi amici, ogni cosa. In particolar modo, adoravo immaginarlo circondato da un sacco di fiori, magari bianchi. In effetti, Kouyou aveva davvero un buon profumo: mi chiesi stupidamente se questo fosse dovuto al suo lavoro.
Fu solo quel giorno, però, che mi accorsi realmente che qualcosa era cambiato dentro di me.
Stava suonando la chitarra, come sempre. Un dispettoso venticello gli scompigliava i capelli chiari e faceva muovere le foglie ai suoi piedi. Suonava una melodia nuova, quel giorno.
Io avevo ammirato quell'immagine splendida troppo a lungo, che sembrava un malinconico e splendido quadro; peccato che non sapessi dipingere, ma scattare foto sì. Quel giorno decisi di portarmi dietro la macchina fotografica digitale, usando con Yumi una scusa qualsiasi. Sarà stata la millesima foto che gli scattavo nell'arco di un paio d'ore. Avrei voluto scattare foto a ogni millimetro della sua pelle per stamparmela bene in testa, ma cercai di trattenermi, limitandomi all'indispensabile. Lui all'inizio si era un po' lamentato e opposto, ma poi, come tutte le persone consapevoli della propria bellezza, si era lasciato fotografare comportandosi con totale naturalezza, forse prendendoci anche un po' di gusto.
Alla fine alzò gli occhi su di me, sbuffando.
« Dai, adesso basta! » protestò ridendo e io, dopo un ultimo scatto a tradimento, decisi di smetterla.
« E' per ricordo... » cercai di giustificarmi quando lui mi guardò male. Ripresi posto accanto a lui sulla panchina, scorrendo tutte le foto e soffermandomi particolarmente sulle foto in cui eravamo ritratti assieme. Non eravamo una brutta coppia, dopotutto.
« Ti piace la fotografia? » mi chiese dopo qualche secondo, finendo di suonare e rubandomi la macchina fotografica dalle mani, mettendosi a guardare le foto.
« Bhe, una volta era un mio hobby. » risposi, stringendomi nelle spalle. Mi faceva quasi impressione ricordarmi di quel periodo in cui avevo quasi creduto davvero che sarei diventato un fotografo professionista. Ma ero solo un ragazzino che si perdeva in idee fantasiose; a distanza di tanto tempo, la trovai solo un'immensa stupidaggine.
« Ora non più? » mi domandò poi, continuando a far scorrere le foto sotto ai suoi occhi. Mi imbarazzai abbastanza quando lo vidi sorridere alla scoperta che avevo scattato una foto addirittura ai suoi piedi circondati da un mare di foglie rosse.
« No, non ho più tempo. » ammisi con leggerezza, ma lui assunse un'espressione corrucciata.
« Dovresti ricominciare, queste foto sono belle, davvero. » il tono convinto che usò mi fece sorridere: sembrava un bambino che cercava di convincere qualcuno che credeva stesse dicendo bugie.
« Bhe, il soggetto sei tu... » commentai con una sottile ironia che mi fece guadagnare un'occhiataccia.
« Non l'ho detto per quello, sono belle a prescindere, hai un bello stile... anche se il soggetto conta. » mi disse con l'aria di un critico d'arte; ma poi mi ricordai che effettivamente lui era un artista e avevo sperimentato quanto lui fosse onesto per qualsiasi cosa. Quindi, se era lui a dirmi che erano belle, non potevo far altro che crederci.
Evitai comunque di montarmi la testa e perdermi in pensieri che non potevo più permettermi di avere.
« Che modesto. » scherzai, ma l'espressione seria sul suo volto mi raggelò.
« Ricomincia, Ryo. » improvvisamente mi sembrò di rivedere il signor Takashima, che avevo con non poca fatica cercato di allontanare dalla mia mente e tutto questo mi tolse ogni difesa. Risi senza motivo, forse per non mostrare il mio disagio, e distolsi gli occhi da quelli di Kouyou, che in quel momento sembravano in potere di annullarmi.
« Ultimamente me lo dicono spesso... » scherzai, cercando di smorzare il tono fin troppo serio della conversazione, che non volevo degenerasse in una discussione come quella avuta con il signor Takashima. Non volevo continuare a tormentarmi.
« Se la vita che fai non ti soddisfa, molla tutto e ricomincia da capo. » continuò lui, mordace.
Sbuffai, mentre avvertivo la morsa al petto farsi più intensa e scossi il capo, sinceramente frustrato.
« Parli facile, tu. » sibilai, mettendomi a contemplare le mie scarpe.
« Perchè, cosa c'è di complicato? » mi chiese con voce annoiata, riporgendomi la macchina fotografica una volta che ebbe finito di guardarle tutte. Alzai gli occhi comicamente spalancati sul suo viso completamente rilassato e mi chiesi con sincero interesse se si stesse rendendo conto di quello che stava dicendo.
« Stai scherzando?! E' tutto complicato! » pigolai con voce strozzata, mentre la mia espressione allucinata rasentava i limiti del tragico. Lui però rimase impassibile, come suo solito, si limitò solo a inarcare un sopracciglio e arricciare leggermente le belle labbra rosse.
« Solo perchè sei un codardo. » sferzò e il tono gelido che uso sembrò in potere di schiaffeggiarmi in pieno volto. Restammo a fissarci a lungo, in una tacita sfida a chi avrebbe abbassato per primo lo sguardo. Manco a dirlo, io fui il primo a cedere. Mi strinsi nelle spalle affondando nel mio piumino nero, nascondendo in parte il viso nella sciarpa. La cosa mi stava infastidendo; troppe persone in quel periodo si prendevano la libertà di spargere giudizi e dirmi cosa dovevo fare senza il minimo riguardo nel miei confronti. La vita era la mia, solo a me aspettava decidere cosa farne, punto.
« Non puoi dirlo, tu in fondo non sai niente di me. » gli dissi mettendomi a guardare ovunque tranne che nella sua direzione, sentendomi profondamente a disagio. Passarono estenuanti secondi di silenzio, che lui interruppe con un sospiro. Mi accarezzò il braccio e quel contatto sembrò in potere di annullare gli strati di stoffa che dividevano la mia pelle dalla sua mano, procurandomi una scarica di brividi.
« Hai ragione, mi dispiace. » sospirò con voce bassa e gentile. Feci forza su me stesso per incontrare di nuovo i suoi occhi e quando li trovai così tristi, il blocco di cemento che sembrava essersi formato nel mio stomaco si annullò, facendomi sentire leggero e più rilassato. Annuii leggermente e lui mi sorrise.
« Ah! Ora che mi torna in mente! Ho composto una canzone per te! » esclamò all'improvviso, interrompendo di colpo il silenzio confortevole che si era venuto a creare e facendomi venire un infarto. Non feci in tempo a porgli una qualsiasi domanda, che immediatamente la melodia iniziò, impedendomi di aprir bocca. Non volevo perdermi una sola nota della canzone che lui aveva composto per me. Me n'ero accorto già da tempo, ma in quel momento mi apparve davvero chiaro: Kouyou era straordinario con la chitarra. Le melodie che componeva erano pieni di colori e sembravano in grado di curare l'animo umano. Credevo davvero che fosse merito della sua musica, che sembrava accompagnarmi in ogni attimo delle mie giornate, se mi sentivo così bene in quel periodo. Talvolta sembravo un ragazzino innamorato e a pensarci ridevo come un cretino, dandomi del pazzo.
Mentre ascoltavo con attenzione maniacale le note, cercando di stamparmele bene in testa, i miei occhi si persero ad osservare il parco, che considerando il tempaccio, a quell'orario era pressochè deserto. Mi sentivo bene. In quel momento non esistevano più preoccupazioni, non esisteva più la vita di tutti i giorni, non c'era più stress, non c'era più il parco e il venticello gelido che pungeva il viso, non c'erano più le foglie sotto ai nostri piedi... solo io e Kouyou con la sua chitarra. Il resto era superfluo.
Cosa poteva esserci di meglio, finchè avevo lui e la sua musica?
« E' triste... » commentai quando la melodia finì, senza però guardarlo in volto.
« Perchè tra non molto ci divideremo. » mi spiegò mettendosi a scrutare il cielo che si stava scurendo, dando spazio alla notte. Lo imitai, ricordandomi che tra pochi giorni sarebbe tornato a Kanagawa, tornando alla sua vita e io sarei rimasto qui a Tokyo e tutto sarebbe rimasto come sempre. Mi venne il magone a pensare che non lo avrei mai più rivisto. Forse il suo ricordo sarebbe rimasto indelebile dentro di me, forse quelli erano stati davvero i giorni più completi della mia esistenza.
« E' una canzone d'addio? » gli chiesi e lui mi regalò un sorriso malinconico.
« Si. »
In quel momento... non so, forse sarà stata la circostanza che me lo concesse, ma non riuscii a trattenere una certa emozione, che mi obbligò a chiudere intensamente gli occhi.
« Vorrei che tu restassi. » gli confessai senza un motivo, sapendo che lui non avrebbe potuto accontentarmi, ma glielo dissi lo stesso, perchè sentivo di doverlo fare.
« E io vorrei che tu mi seguissi. » e forse lo stesso valeva per lui.
In quell'esatto istante, mi accorsi che avevo irrimediabilmente sorpassato nel nostro rapporto il confine che divideva un semplice "qualcosa", da qualcosa di troppo.

***


Appena tornato a casa, la prima cosa che feci fu quella di precipitarmi al computer. L'accesi dopo tantissimo tempo in cui era rimasto inutilizzato e vi caricai sopra tutte le foto che avevo scattato quel giorno. Le osservai attentamente tutte, dalla prima all'ultima. Kouyou che ride, Kouyou che suona, Kouyou che parla, Kouyou che mi guarda, Kouyou che mi sorride... il suo profilo, le sue mani, i suoi capelli appena scompigliati dal vento, la sua chitarra, addirittura i suoi piedi. E poi c'eravamo noi due... noi due seduti l'uno accanto all'altro, io dietro di lui appoggiato allo schienale della panchina, io con la sua chitarra in un vano tentativo di emettere suoni decenti, e poi le nostre testa che appena si sfioravano, in una foto in cui eravamo particolarmente vicini.
No, non eravamo male assieme.
Pensai che sarebbe stato un bel pensiero stampare qualche foto e poi consegnargliele come ricordo dei bei pomeriggi trascorsi assieme. Non feci in tempo ad accendere la stampante, che i passi di Yumi lungo il corridoio mi costrinsero a chiudere tutto per non farle intuire nulla. Non che ci fosse effettivamente qualcosa di male, ma sapevo che se avessi raccontato a Yumi di Kouyou, mi avrebbe tartassato al fine di conoscerlo e io non volevo assolutamente. Non volevo che la mia vita di tutti i giorni contaminasse anche i momenti di libertà che trascorrevo con lui, non me lo sarei mai perdonato.
« Come mai sei al computer stasera? » mi chiese perplessa, osservando intensamente lo schermo dell'apparecchio, forse sperando che spuntasse improvvisamente la spiegazione a tutti i dubbi che l'avevano assalita in quei giorni.
« Così, mi andava. » mentii, stringendomi nelle spalle. Lei continuò a guardarmi sospettosa, ma il sorriso gentile che le feci sembrò convincerla, decidendo di cambiare discorso. I suoi occhi si puntarono verso il lato opposto della stanza e immaginai all'istante cosa stesse per dirmi.
« Comunque... quando ti deciderai a buttare quella scatola e quella chitarra? Te lo devo ripetere tutti i giorni! » si lamentò incrociando le braccia al petto e io sospirai. Era da due settimane che me lo ripeteva continuamente, stava diventando snervante.
« Si, scusa, è che me ne dimentico. Domani butterò tutto, promesso. » le promisi con un sorriso falso, nascondendo il fastidio.
« Ecco, bravo. Comunque la cena è quasi pronta. » e detto questo se ne tornò in cucina.
Lanciai un veloce sguardo allo scatolone sigillato, contenente le cose del signor Takashima, pensando che ormai potevo anche darci un'occhiata, non si sarebbe più potuta definire violazione della privacy. Mi alzai dalla sedia e mi accomodai sul letto, per poi recuperare la scatola. Stracciai velocemente il nastro adesivo che lo teneva chiuso, prima di scoprirne il contenuto.
Al suo interno c'erano solo un po' di vestiti vecchi, un portafoglio completamente vuoto, dei documenti, un libro che io stesso gli avevo letto un po' alla volta all'ospizio, un plettro per la chitarra, la sua preziosa foto da giovane e poi... una lettera.
Una lettera rovinata e ingiallita dal tempo, ma comunque ben conservata. Era aperta, sembrava messa lì apposta perchè io ne vedessi il contenuto. Esitante, mi chiesi se fosse corretto farsi gli affari del signor Takashima senza il minimo riguardo, ma mi ricordai che ormai l'uomo in questione era morto già da un pezzo e non sarebbe stato così grave scoprire qualcosa in più sul suo conto. Non stavo facendo niente di grave. Ripetendomi queste parole, estrassi fuori dalla busta un paio di foto e un biglietto piegato.
Nelle foto, non troppo vecchie, c'era ritratto un bel neonato dai già folti capelli neri vestito con un abitino bianco. La data che compariva in un angolo delle foto segnava l'anno 1981, il mio stesso anno di nascita. Incuriosito, spiegai il biglietto. C'erano scritte solo poche parole: "E' un maschietto, l'ho chiamato Kouyou perchè noi ci siamo conosciuti proprio in quel periodo, ti ricordi?".
Queste parole mi schiaffeggiarono in pieno volto. Improvvisamente tutto iniziò a girare vorticosamente. Tutto quello che non era chiaro nella mia vita sembrò trovare una spiegazione logica. Kouyou non poteva essere così maledettamente somigliante al signor Takashima in tutto e per tutto solo per pura coincidenza. Mi aveva detto di avere la mia età, di conseguenza la data era corretta.
Con un'agitazione profonda in corpo, mi resi conto che forse avevo trovato il passato del signor Takashima.
Rimisi tutto dentro la busta. Il mittente della lettera era una certa Yoko Kaneyoshi.
Presi un respiro profondo. Kouyou era il figlio del signor Takashima? Ma il cognome non era quello e Kouyou mi aveva parlato anche di suo padre... ma magari non era il padre biologico. Scossi la testa, sconcertato. No, non poteva essere vero, semplicemente. Eppure gli indizi c'erano... ma una cosa del genere poteva succedere sul serio? Non era tutto troppo surreale?
Un giorno il mio paziente preferito moriva e in quello stesso pomeriggio incontravo suo figlio, che per di più sembrava essere un suo figlio illegittimo o simile, data la lettera.
Il mio cervello si perse nel ricordo di quella breve discussione che io e il signor Takashima avevamo avuto e che io mi ero tanto sforzato di dimenticare, ma che in quel momento mi presentò un'ulteriore conferma.
"Anch'io ho trascorso tutta la mia vita convinto di esserlo, invece adesso sono pieno di rimpianti. Mi pento di aver sposato mia moglie, di aver accantonato la musica per lei, di non aver passato la mia esistenza accanto alla persona che amavo davvero..."
"Insieme alla persona che amava davvero..." forse parlava della madre di Kouyou, con cui aveva avuto una relazione extraconiugale?
Scossi la testa, chiudendo gli occhi. Non è che era tutto solo un enorme abbaglio? Non potevo esserne certo, dopotutto, poteva essere solo un insieme di enormi coincidenze. In fondo ero certo che certe cose succedessero solo nei film.
Decisi che l'unica cosa che potevo fare fosse parlarne con Kouyou il giorno dopo.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio.

***


Lo ritrovai in quello stesso punto, su quella stessa panchina come tutti gli altri giorni, con la sua chitarra in braccio e con quei suoi lucenti capelli biondi, che oscillarono leggermente quando alzò gli occhi radiosi su di me, una volta che mi trovai vicino a lui.
« Ciao » mi salutò con l'aria di uno che aveva il cuore in gola per l'emozione, ma lo ignorai e non risposi al suo saluto, preferendo togliermi subito l'atroce dubbio assalendolo con le domande.
« Tua madre si chiama Yoko Kaneyoshi? » gli domandai a raffica, con il cuore che batteva a mille e un'ansia incredibile che mi scuoteva il corpo, facendo sì che la sua espressione rasentasse i limiti dello sconvolto. Boccheggiò qualche secondo, per poi guardarmi con aria profondamente perplessa.
« Perchè me lo chiedi? » mi domandò assottigliando gli occhi. In effetti non dovevo sembrare molto normale in quel momento, ma avevo sul serio bisogno che mi rispondesse, ma capii che comportandomi a quel modo non avrei ottenuto niente, quindi sospirai a pieni polmoni per tranquillizzarmi e poi mi sedetti accanto a lui sulla panchina. Quasi inconsapevolmente gli accarezzai un braccio e lo guardai con occhi imploranti.
« Kouyou, è importante. » gli dissi a bassa voce e lui sembrò convincersi, bisbigliando un flebile: « ... Si. »
In quel momento un'inspiegabile voglia di piangere mi pervase. Non c'era un motivo preciso, ma era come se tutti i nodi di una vita si fossero sciolti dopo quella risposta, come se avessi raggiunto un obiettivo importante e ormai non mi sarebbe importato neppure se fossi morto in quel momento. Ogni cosa sembrò riacquistare significato e quel mondo in bianco e nero in cui mi ero trovato catapultato improvvisamente riprendeva colore, iniziando dagli occhi di Kouyou, che vedevo luminosi come non mai.
Mi aprii in un sorriso commosso, ma mi trattenei dal piangere sul serio, perchè non potevo scoppiare in lacrime in pubblico come un povero fesso, ma mi ricordai che c'era qualcos'altro che dovevo fare:
« Kouyou, credo che queste cose siano tue adesso » gli dissi, porgendogli la chitarra del signor Takashima e la scatola con dentro tutte le sue cose, che ero corso a prendere a casa subito dopo il lavoro. Lui le prese e le osservò per qualche minuto con un'espressione semplicemente allucinata in volto, per poi alzare gli occhi smarriti su di me.
« Cosa significa? » mi domandò con voce bassa e io potevo solo immaginare quanto si sentisse confuso in quel momento, così decisi che dargli delle spiegazioni era l'unica cosa che potessi fare. Presi un profondo respiro, chiedendomi da che parte dovessi incominciare per iniziare il racconto. Feci mente locale velocemente.
« Insomma, come sai io lavoro in un ospizio... tempo fa era arrivato lì un anziano con cui ero diventato... bhe, amico, diciamo, anche se è strano da dire. Purtroppo lo stesso giorno in cui ci siamo conosciuti è morto e visto che anche la moglie è morta, non ha mai avuto figli e i parenti rimasti non si sono mai interessati, nessuno è venuto a prendere le sue cose, così ho deciso di tenermele io. Ieri sera quando sono tornato a casa, ho guardato all'interno dello scatolone e ho trovato questa... »
Estrassi dalla tasca della giacca la lettera che avevo trovato tra gli effetti personali del signor Takashima e gliela porsi. Gli diedi tutto il tempo necessario perchè lui trovasse il coraggio di estrarre dalla busta le foto e il biglietto. Il suo volto rimase del tutto inespressivo mentre i suoi occhi contemplavano le immagini e leggeva velocemente il biglietto.
« Visto che tu assomigli tantissimo a lui quand'era giovane e poi la data e il nome riportati corrispondono a te, ho subito pensato che non potesse essere una coincidenza. Per questo prima ti ho chiesto se Yoko Kaneyoshi è tua madre, perchè c'è scritto sulla lettera, quindi... » gli spiegai nervosamente, eppure la sua espressione non mutò per un solo istante. Restammo in silenzio a lungo, finchè lui non rimise tutto dentro alla busta e me la riconsegnò con totale indifferenza. Lo guardai un attimo perplesso, credendo che volesse tenersi le cose del suo padre biologico, invece le cose non andarono esattamente come mi aspettavo.
« Ero venuto a Tokyo per cercare lui, ma avevo paura. Insomma, che lui mi dicesse che non era vero niente, che io e lui non eravamo imparentati. Dopotutto non mi ha mai riconosciuto come suo figlio legittimo, credo perchè era sposato e non voleva divorziare dalla moglie. » mi disse con voce piatta, estraendo dalla tasca della giacca un pacchetto di sigarette. Se ne portò una alle labbra appena tremule. Non sapevo se fosse per il freddo o per l'emozione.
« Sono cresciuto con un uomo che mi ha fatto da padre, ma ho sempre saputo che non era il mio vero genitore. La cosa non mi è mai importata, quindi non mi importa neanche ora. Però volevo solo vederlo una volta... credo di non essere più in tempo. » concluse con un mezzo sorriso ironico, cercando disperatamente di accendere la sigaretta con il suo accendino, che per quanto provasse, l'oggetto non sembrava avere la minima idea di far scattare la fiammella. Masticò un'imprecazione e in quel momento venni investito da una forte ondata di tenerezza, perchè si vedeva chiaramente quanto stesse cercando disperatamente di trattenere un'emozione enorme, forse anche più grande di lui.
< Gli sfilai la sigaretta dalle labbra e poi feci passare un braccio attorno alle sue spalle, attirandolo a me. Nascose il viso nell'incavo del mio collo e restammo così per talmente tanto tempo che quando ripresi contatto con la realtà mi accorsi che era già buio da un pezzo. Dovevo tornare a casa al più presto... però non ne avevo la forza, non me la sentivo di interrompere quel contatto in cui mi trovavo realmente troppo bene.
« Vuoi andare a far visita alla sua tomba? » gli chiesi con voce bassa, pensando che questo forse lo avrebbe fatto stare meglio, ma lui scosse la testa contro la mia spalla.
Lo sentii sospirare contro la mia pelle e poi alzare il viso. Eravamo talmente vicini che i nostri nasi si sfiorarono appena, dolcemente.
Schiuse le labbra e lì capii che era ormai troppo tardi. Chiusi gli occhi lasciandomi andare a un bacio strano. Si, forse "strano" era la parola più adatta. Le nostre labbra si amalgamarono assieme, senza spingerci troppo in là, senza perderci in un contatto passionale, ma neanche dolce. Era un bacio significativo e profondamente triste, forse anche egoista, ma esigente. Probabilmente era da molto tempo che entrambi ci stavamo trattenendo. Le nostre dita si intrecciarono dolcemente, improvvisamente iniziai a sentirmi completamente perso. Ero sempre stato convinto che non avrei mai potuto trovarmi attratto da un altro uomo, ma Kouyou era un'altra questione. Anzi, diciamo che lui era un corpo a parte nell'universo. Per me lui non era ne un uomo ne una donna, era solo una creatura di nome Kouyou, che era figlio dell'uomo migliore che avessi mai conosciuto e questo sembrò bastare per farmi rispondere a quel bacio.
Ma io ero sempre stato un tipo razionale, il punto era questo. E mentre mi scioglievo sulle labbra di Kouyou, improvvisamente mi ricordai di Yumi: era un tradimento, quello? Una voce dentro alla mia testa continuò a ripetermi all'infinito che stavo sbagliando.
Questi pensieri mi fecero allontanare velocemente dalle sue labbra.
Lui mi guardò frastornato, mentre lo allontanavo da me, forse un po' troppo bruscamente.
« Cosa sto facendo? Tu sei un uomo e... sono pure fidanzato. » sospirai frustrato, coprendomi il viso con le mani e lui si scostò dal mio corpo, senza però alzarsi.
« Io penso che io e te eravamo destinati ad incontrarci, tutto questo ce lo sta dimostrando. Io sto davvero bene quando sono con te. Cosa c'è di male a scambiarci un bacio, se è questo che vogliamo e se sentiamo che è giusto così? Non hai mai provato niente in queste settimane? Neanche adesso? Perchè io invece ho provato tanto e continuo a provarlo. »
Le sue parole scossero il mio mondo inesorabilmente.
Ma io... cos'è che volevo davvero?
« Non posso... » bisbigliai tormentato.
Cosa stavo cercando?
« Allora io domani sera me ne tornerò a Kanagawa. Ti aspetterò qui fino al tramonto. Se non arriverai me ne andrò, non ci rivedremo più. »
Se non mi fossi presentato, cos'avrei perduto?
Non risposi a nessuna di queste domande.

***


La vita era strana.
Ero sempre stato certo che avrei vissuto una vita semplice come quella di tutti gli altri. Con un lavoro stabile, una moglie, dei figli e forse anche un cane. Insomma, magari non un lavoro fantastico che mi avrebbe fatto fare un mucchio di soldi, ma un buon lavoro; magari non una moglie proprio perfetta, ma una brava moglie; magari non dei figli super belli e intelligenti, ma dei bravi ragazzi e magari non un cane di razza troppo costoso e impegnativo, ma comunque un cane grazioso.
Ero sul serio cresciuto con questo ideale di famiglia, probabilmente perchè io ero cresciuto in una famiglia così, in cui ognuno si accontentava di quello che aveva senza lamentarsi.
Ma io cosa volevo?
Sposarmi con Yumi, avere dei figli e poi forse anche un cane? E il mio lavoro? Il lavoro all'ospizio era sul serio quello adatto a me?
Ma io cosa provavo per Yumi? Dopotutto stavamo insieme da talmente tanto tempo, che ormai la presenza di uno per l'altra non era diventata altro che abitudine. Forse non l'avevo mai neanche amata sul serio, diciamo che mi ci ero trovato. Non che non le volessi bene, al contrario, ma amore non era. Non sapevo se per lei era lo stesso.
Per Kouyou invece? Dal mio primo incontro con lui, era velocemente finito al centro dei miei pensieri, continuamente. Mi bastava guardare fuori dalla finestra scorgendo il panorama autunnale che subito lui mi tornava in mente senza possibilità di scampo. Era forse amore? A questo proprio non sarei riuscito a rispondermi neanche a distanza di secoli.
Ma dopotutto, uno può innamorarsi seriamente di una persona dopo appena due settimane di conoscenza? Forse Kouyou mi era piaciuto al primo sguardo, ancora prima che lo conoscessi, attraverso la foto da giovane del signor Takashima. Forse stavo confondendo della semplice stima per un sentimento troppo grande. Forse lui mi piaceva tanto solo perchè era il figlio di quell'uomo a cui mi ero tanto affezionato. Forse mi piaceva solo perchè rivedevo in lui suo padre.
Forse... forse... troppi forse.
Però la scintilla era scattata...
Molto probabile, altrimenti non ci saremmo baciati a quel modo, come se fosse stato assolutamente naturale, giusto?
Avevo un mal di testa pazzesco e in realtà mi chiedevo perchè ci stessi realmente pensando. Solo un povero pazzo avrebbe mollato tutto per seguire una persona che conosceva da neanche due settimane. Si, solo un povero folle.
Però avevo preferito il bacio di Kouyou a qualsiasi altro contatto che avevo avuto con Yumi per tutta la durata della nostra lunghissima relazione.
Forse ero impazzito davvero.
Se fossi andato via con Kouyou che sarebbe successo? Avrei tagliato i ponti con tutte le conoscenze che avevo a Tokyo, avrei fatto soffrire Yumi mollandola così su due piedi e avrei perso il lavoro.
Se me ne fossi andato con lui avrei dovuto ricominciare tutto da capo. Magari avremmo vissuto assieme, i primi tempi sarebbe stato eccitante, magari avrei anche scoperto il sesso con un altro uomo, ma poi, se fosse finita male, come avrei fatto? Se avessi scoperto troppo tardi che seguendolo avevo fatto un errore madornale, come avrei fatto a sopravvivere? Sarei stato costretto a tornare indietro con la coda fra le gambe, come un povero deficiente.
Ma chi non risica non rosica, giusto?
E se fossi rimasto a Tokyo continuando la vita che avevo programmato finendo poi i miei giorni in un letto d'ospedale pentendomi delle mie decisioni come il signor Takashima?
Ero davanti ad un bivio. Dovevo decidermi.
Quella notte restai a fissare a lungo la foto da giovane del signor Takashima, l'unica cosa che non avevo avuto il coraggio di restituire a Kouyou. Volevo sul serio lasciarmi scappare tanta bellezza?
Kouyou non aveva ereditato dal padre solo il bell'aspetto, ma anche il carattere pacato e un po' perso che mi piaceva tanto.
La melodia che Kouyou aveva composto per me continuava a risuonarmi rumorosamente nella testa, fino a canticchiarla. La nostra triste canzone d'addio...
Mi avrebbe perseguitato in eterno?
Guardai l'orologio mentre stavo tornando a casa da lavoro. Erano quasi le sei.
Dovevo sbrigarmi, quella sera avevo una cena a casa dei genitori di Yumi, anche se a loro non ero mai piaciuto troppo.
E se invece...?
Non riuscii a terminare la frase. Iniziavo ad essere preso dal panico.
Tornai a casa con l'aria distrutta di chi non dormiva da giorni (ed effettivamente era così). Non feci in tempo a muovermi o a dire una parola che Yumi mi raggiunse. Un velo di trucco sul bel viso ovale, vestita per bene per non ricordare ai suoi genitori che vita misera era finita a fare per causa mia e l'aria di chi aveva un disperato bisogno di incazzarsi con qualcuno per sfogare lo stress. Il malcapitato ero io, sfortunatamente.
« Ti sembra l'ora di tornare?! Se facciamo tardi sarà solo colpa tua! Lo sai quanto ci tiene mio padre alla puntualità! »
Avrei voluto dirle un sincero: "ma chissenefrega di quell'idiota di tuo padre", ma preferii contenermi per non far sfociare la cosa in un lungo litigio, quindi mi limitai a fare la cosa che era sempre meglio tentare con lei: non dire assolutamente nulla.
Mi avviai in camera, raggiunsi il mio lato del letto e mi sedetti, incominciando a spogliarmi per fare un veloce cambio d'abiti, quando il mio occhio cadde sul comodino. Mi aspettavo di trovare il piccolo accendino rosso che avevo involontariamente rubato a Kouyou quando le nostre dita si erano intrecciate durante il bacio, ma l'oggetto era scomparso.
« Yumi... dov'è l'accendino che avevo messo qui sopra? » le chiesi indicando il comodino spoglio. Lei mi regalò uno sguardo perplesso, prima di stringersi nelle spalle.
« L'ho buttato, non funzionava più e poi lo sai che non mi piace che fumi. »
Una forte ondata di rabbia mi pervase. Non tanto perchè quello era un oggetto di Kouyou e in quanto tale andava trattato con cura, ma per il gesto. In preda al nervosismo, aprii di scatto il cassetto del mio comodino, notando che le cose al suo interno non erano affatto come le avevo lasciate quella mattina prima di uscire.
Le lanciai un'occhiata di fuoco e la vidi irrigidirsi.
« Da quando rovisti tra le mie cose, Yumi? » sibilai, cercando comunque di apparire calmo. Lei incrociò le braccia al petto, probabilmente sentendosi a disagio e distolse lo sguardo dal mio.
« Bhe, ho solo fatto ordine! » cercò di difendersi, non riuscendoci veramente.
In quel momento tutto mi sembrò più chiaro. Io e lei non eravamo fatti per stare insieme, anche lei se n'era accorta, per questo rovistava tra le mie cose alla ricerca disperata di sicurezze. Eravamo entrambi spaventati e insicuri.
Che cosa dovevo fare?
La mia mente si chiese questo, quando invece il mio corpo si stava già muovendo verso l'armadio e lo spalancava, tirandone fuori una vecchia borsa e qualche vestito.
« Che... che diamine stai facendo?! » gridò con voce dannatamente acuta, precipitandosi verso di me per fermarmi in un gesto disperato, probabilmente perchè la sua mente aveva già dato una spiegazione logica a tutto.
Sperai che qualcuno, chiunque, mi desse una risposta.
« E' meglio se ci lasciamo, Yumi. » le risposi con voce pacata, mentre mi liberavo dalla sua presa e continuavo il mio lavoro.
Mi bastava solo qualche vestito, il cellulare, dei soldi, magari anche la macchina fotografica... il resto me lo sarei comprato una volta là.
Ma il fatto era che io la risposta ce l'avevo già.
« Stai scherzando?! Sei completamente impazzito? » la sua voce oltre che acuta diventò tremula, forse perchè stava per scoppiare a piangere, eppure i suoi occhi non erano lucidi e non aveva neppure l'aria di una che stesse per piangere lacrime amare. Forse si aspettava che prima o poi sarebbe successo.
"Anch'io ho trascorso tutta la mia vita convinto di esserlo, invece adesso sono pieno di rimpianti. Mi pento di aver sposato mia moglie, di aver accantonato la musica per lei, di non aver passato la mia esistenza accanto alla persona che amavo davvero..."
« No, anzi, non sono mai stato più lucido di così » le risposi con un sorriso, a cui lei non riuscì a trovare la forza di reagire. Finalmente smise di combattere e sembrava che le stessero per cadere le braccia. Era sconvolta, spaventata, delusa, incredula... forse sarebbe esplosa davvero.
"Io ormai sono vecchio, ma tu sei ancora in tempo. Ricomincia da capo"
« Ma... ma... »
Non ascoltai il suo balbettio incoerente e chiusi con un movimento secco la zip del borsone, che mi caricai velocemente in spalla. Mi avviai fuori dalla stanza e lei mi venne dietro come un cane quando voleva seguire il padrone che stava per uscire di casa. Peccato che non potessi rassicurarla dicendole che sarei tornato presto, perchè probabilmente non ci saremmo più rivisti.
"Io penso che io e te eravamo destinati ad incontrarci, tutto questo ce lo sta dimostrando. Io sto davvero bene quando sono con te. Cosa c'è di male a scambiarci un bacio, se è questo che vogliamo e se sentiamo che è giusto così? Non hai mai provato niente in queste settimane? Neanche adesso? Perchè io invece ho provato tanto e continuo a provarlo."
« Ti lascio l'appartamento e tutto quello che c'è dentro. » le dissi, mentre mi infilavo le scarpe e lei non disse nulla, ma immaginai fosse segretamente sollevata.
Mi voltai nella sua direzione e le regalai un ultimo sorriso, forse un po' triste, ma un bel sorriso.
"Allora io domani sera me ne tornerò a Kanagawa. Ti aspetterò qui fino al tramonto. Se non arriverai me ne andrò, non ci rivedremo più."
Guardai distrattamente l'orologio. Erano appena le sette, forse avrei fatto ancora in tempo.
Io sapevo cosa volevo.
« Stammi bene, Yumi. Bye bye. »
Non le dissi nient'altro mentre mi chiudevo alle spalle una porta fatta di ricordi.

IO SO COSA VOGLIO.


Fine.
 
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¿denni´
CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 19:21




Oddio, da quanto non leggevo sui Gazette *-*
Allora, prima di tutto non preoccuparti degli errori: se ci sono, ci sono solo alcuni di battitura fatti per distrazione, nulla di così eclatante!
Secondo... una fic scritta bene sui Gazette *-*
Oh quale rarità *-*

CITAZIONE
"Allora io domani sera me ne tornerò a Kanagawa. Ti aspetterò qui fino al tramonto. Se non arriverai me ne andrò, non ci rivedremo più."

*muore*
Povera Yumi, sotto sotto mi dispiace un po' (tanto) c.c

Mi è piaciuta molto. L'ho apprezzata particolarmente.
Sia per il titolo, sia per l'atmosfera, sia per il contenuto, che insieme montano una fic fantastica.
Complimenti, spero di leggere qualcos'altro di tuo <3
 
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kirari.
CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 19:31




*_____* ma grazie! <3
Purtroppo non scrivo più nulla sui Gazette perchè ho totalmente perso interesse per loro da un bel pezzo. ;__;
Grazie mille ancora. ^^
 
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¿denni´
CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 19:46




Di nulla, è vero u.ù
Ora mi fiondo sull'altra tua fic u.ù
 
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CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 20:18
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...I drove for miles and miles...
........

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E' molto, molto bella.
Scrivi molto bene, fluidamente e chiaramente.
Ciò che mi ha colpito di più è stato il dialogo sulla felicità, molto molto bello <3
 
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kirari.
CAT_IMG Posted on 7/12/2010, 20:41




Grazie mille anche a te ^^
 
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animë
CAT_IMG Posted on 12/3/2011, 23:09




l'ho letta tanto tempo fa ma commento ora XD

mi piace un sacco il tuo modo di scrivere,è molto scorrevole e non annoia
molto brava *-*
 
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6 replies since 7/12/2010, 18:58   118 views
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