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Luna della Notte, di Y. Napolitano - Sovrannaturale-> Vampiri

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_La_YLe_
icon12  CAT_IMG Posted on 30/1/2011, 14:52




LUNA della NOTTE
Introduzione


Dove una cosa finisce, c'è qualcosa che inizia.
Dove una cosa inizia, c'è qualcosa che finisce.
Il sole tramonta e fa spazio alle tenebre e ai suoi seguaci.
Seguaci di quella Luna che di notte li fa rivivere.
Quella Luna della Notte che ormai non va più via.
Dove una vita finisce, una specie continua a vivere.
Quella Luna della Notte glielo permette.
Dove quella specie continua a vivere, la vita finirà sempre.





Questa era una delle composizioni preferite di mia madre. L'aveva scritta di suo pugno.
Desideravo, e desidero ancora oggi, di diventare un giorno brava come lei.
Mi spiegò, quando ero ancora piccola, che il mio nome deriva da questa composizione.
Piuttosto eccentrico come nome. Ma che fa la sua figura.
Mi chiamo Midnight. A quanto pareva la mia dolce e tenera mamma ci aveva azzeccato. Tutto in me faceva pensare alla mezzanotte.
Dai lunghi capelli neri, morbidi come la seta, dagli occhi blu brillanti come le stelle alla carnagione pallida come la luna di mezzanotte.
Non sapevo in che contesto, mia madre scrisse quel testo.
Non glielo chiesi mai ed ora è troppo tardi per domandarglielo.
Era il 19 novembre 2009 quando mia madre fu trovata morta nella sua auto.
Un particolare strano non quadrava nella descrizione dell'incidente di mia madre.
Dov'era il sangue?




Luna della Notte
Capitolo 1.


Oh dolce notte
che cadi sul ciel sereno
Oh dolce notte
che i colori sottrai anche alle cose più belle
Oh dolce notte
che più romantica ti fai se vissuta con una persona cara
Oh dolce notte
paurosa tu sei
e nelle tenebre nascondi tutto quello che nel mondo non dovrebbe esistere.



C'è qualcosa di inquietante di notte.
Qualcosa che si nasconde tra le strade buie e nei vicoli ciechi tra i palazzi dei ricchi signori del paese.
Lavorare di notte, in un grande edificio con poco personale a disposizione e assai più inquietante del girovagare per le strade senza protezione.
I giovani di sera si rinchiudono nelle loro case aspettando la luce.
Solo alcuni più coraggiosi escono e vanno per discoteche e pub.
Arrivai agli armadietti degli spogliatoi dell'ospedale. Quello riservato alle infermiere e alle dottoresse.
Mi cambiai alla svelta. Mi infilai la mia casacca bianca con i pantaloni in tinta e le scarpe che tanto odio.
Nemmeno il tempo di andare in corridoio a prendere postazione che il signore della stanza 15 aveva bisogno di aiuto.
Accorsi subito.
«Signor Hochen, le serve qualcosa?» chiesi entrando.
Il signor Hochen era un uomo che era appena stato operato al cuore.
Il troppo lavoro, lo stress di una famiglia troppo vasta e il suo vizio del fumo gli hanno fatto partire tre quarti di cuore. Quasi un mese fa sembrava un vegetale, la moglie lo doveva imboccare per farlo mangiare e bere.
Il signor Hochen aveva il viso rotondo, aveva una carnagione abbastanza pallida ed era segnato da moltissime lentiggini e rughe.
Gli occhi neri molto espressivi davano al suo volto un'immagine di saggezza e onestà, il naso un po' storto e le labbra sottili rendevano perfetto quell'insieme.
Adoravo parlare con il Sig. Hochen. Era un uomo divertente e loquace, il contrario di molti altri nostri pazienti che dopo gli interventi, importanti o meno, si sentono in diritto di comandare a bacchetta ed anche di insultare le infermiere come me.
Invece lui era gentile ed educato.
Quando avevo il turno lo accompagnavo sempre a fare una passeggiata e parlavamo di quello che ci interessava.
La vita durante la notte, però, era molto turbolenta in fatto di arresti cardiaci o altro e quindi a volte dovevamo terminare il nostro discorso a metà.
«Middi cara.» sorrise «Volevo solo chiederle un favore.»
«Mi dica!» risposi gentilmente.
«Mi fanno un po' male le gambe, per favore, potresti andare a prendermi una bottiglietta d'acqua frizzante?»
«Certamente torno subito.» mi incamminai verso la macchinetta e fu lì che vidi qualcuno che non riconobbi come impiegato o infermire o medico dell'ospedale.
Lo fermai.
«Scusi, non può stare in questa zona del reparto a quest'ora! i pazienti devono riposare ed oltretutto non è orario di visita.» dissi guardando la sua schiena.
Si girò e mi accorsi del cartellino di riconoscimento. Mi imbarazzai tantissimo.
Il suo viso, oltretutto, era spettacolare. La pelle perlata e gli occhi color azzurro cielo donavano serenità. I lineamenti dolci, ma anche mascolini, lo rendevano veramente affascinante.
I capelli biondi, lunghi fino alle spalle, dritti come spaghetti e raccolti in una coda bassa, il suo naso perfetto e le labbra leggermente piene ti facevano venire in mente i modelli che di solito si vedono sui calendari, mezzi nudi.
Non avevo mai visto quel ragazzo prima di allora.
Mi sorrise. I denti erano dritti e bianchi e ,quando sorrideva, donavano luce al volto.
«Mi scusi ma sono stato assunto da poco.» disse scusandosi.
«Mi scusi lei, avrei dovuto capirlo che era un medico. non dovevo attaccarla in quel modo»
Ridemmo.
«Mi chiamo Midnight Luther e sono una delle infermiere di questo piano.» mi presentai porgendogli la mano. La strinse.
«Piacere, Derrik Hunter, cardiologo e da questa notte lavoro anche io su questo piano» sorrise di nuovo.
«Mi fa molto piacere. Mi sento molto sola di notte qui.» dissi veramente sollevata.
Presi la bottiglietta d'acqua dal distributore e ci incamminammo verso la stanza numero 15.
Appoggiai la bottiglietta sul comodino nel Signor Hochen che ormai era tra le braccia di Morfeo.
Ci sedemmo sui divanetti del salottino e cominciammo a parlare del più e del meno.
Mi raccontò che si era trasferito in questo ospedale perchè in quello dove lavorava prima un sacco di donne accorrevano con finte slogature o finti dolori muscolari solo per vederlo.
Scoppiai a ridere.«E cosa ti fa pensare che qui non sia lo stesso?»esclamai «Oh, Dottor Hunter! Mi potrebbe controllare il polso? sono inciampata nei miei piedi su una superficie assolutamente dritta e liscia!» dissi punzecchiandolo.
Rise anche lui.
«Questo non è niente in confronto a: "Dottore mentre prendevo i piatti dalla lavastoviglie ho preso uno strappo alla schiena!" oppure "Mi sono bruciata con l'acqua della pasta!"» a stento riuscii a trattenermi dalle risate. Infatti non ci riuscii.
Non potevano esistere sul serio persone così assurde.
Mentre rideva c'era qualcosa in lui che mi attirava. Sembrava così felice e disinvolto.
Non avevo mai incontrato nessuno così. Mi piaceva il suo carattere, mi attraeva e soprattutto, lo avrei visto tutte le notte durante il mio turno in ospedale.


Aspetto commenti!! =D
 
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_La_YLe_
CAT_IMG Posted on 4/2/2011, 22:45




Luna della Notte
Capitolo 2.

Oh mattino
che scacci le tenebre
Oh mattino
che rianimi la vita
Oh mattino
Col tuo sole che splende
la Luna gelosa non può più niente.



Il mio turno finiva verso le cinque del mattino. Essendo inverno il sole non era ancora comparso.
Avevo un po' di paura nel camminare da sola per le vie buie.
«Qualche problema?» mi chiese Derrik, vedendomi esitare.
Mia madre era morta di notte, in auto. Non riuscivo ad andare via.
Ogni volta che lavoravo, aspettavo sempre l'alba per uscire dall'edificio ed arrivavo sempre in anticipo quando dovevo cominciare il turno.
«Vuoi un passaggio?»
«Non sei obbligato...» dissi con voce bassa. Un po' imbarazzata, ci conoscevamo solo da otto ore.
«Dove abiti?» Mi domandò gentilmente.
I suoi occhi azzurri risplendevano alla luce delle lampade al neon dei corridoi. Voleva riaccompagnarmi a casa.
«Jefferson street, numero 23» dissi in un sussurro.
«Allora è fatta. Io abito al 19 della stessa via.»
Non potevo crederci, un Dio greco abitava vicino a me ed io non me ne ero mai accorta.
Salii sulla sua auto, una mercedes CLK, grigio metallizzata e senza neanche un graffio.
Aveva quattro porte e l'interno era fatto interamente di pelle nera.
Molto confortevole e non si sentiva neanche quando la accendevi.
La mia macchina era così vecchia che quando mettevo in moto sembrava che fossero arrivati i mondiali di formula1.
«Grazie per esserti offerto di accompagnarmi.» dissi sorridendogli.
«Te l'ho detto... non è un problema.» sfoderò il suo bellissimo sorriso.«Come mai volevi stare in ospedale fino all'alba?»
«Beh... ho paura di girare per le strade di notte.» dissi sorridendo nervosamente.
«Posso chiederti il perchè?»
Questo ragazzo stava apprendendo tutto di me in una sola serata. Non riuscivo a credere a quanto fossi a mio agio quando parlavo con lui.
«Magari un giorno te lo dirò.» sorrisi furbescamente.
Rise.«Questo vuol dire che ci vedremo molto spesso?» domandò.
«Può darsi!» esclamai mentre scesi dalla sua auto parcheggiata davanti al vialetto di casa mia.
Salutai con la mano e lui ricambiò. Mi sentivo benissimo.
Entrai in casa e percorsi il corridoio che collegava tutte le stanze alla porta principale.
Non vedevo l'ora di mettermi a letto e sognare qualcosa di bello.
Entrai nel bagno, ormai il sole era sorto, e mi feci una doccia rilassante.
Mi insaponai i capelli e li risciacquai immediatamente.
Uscii dalla doccia stando attenta a non bagnare tutto il pavimento, cosa che non riesco mai a fare.
Mi asciugai e mi misi il pigiama, costituito da un pantaloncino viola ed una maglietta bianca senza maniche con una scritta stampata sopra che diceva "If You are rich, I'm single!".
Mi infilai sotto le coperte calde del mio letto e aspettai che il sonno mi rapisse.

Sentivo l'aria tra i capelli. Era fresca e umida.
i capelli erano più lunghi di quelli che ricordavo.
Dov'ero?
Mi guardai intorno e vidi che ero in una macchina. Mi guardai allo specchietto.
Lunghi capelli castani ricoprivano la mia testa.
Occhi color cioccolato e naso a patata.
Non ero io. Quella donna era mia madre.
Continuai a guidare. Era tutto buio senza lampioni.
Un auto arrivò più veloce di me, era dietro che continuava ad avanzare.
Mi suonò.
Non gli detti retta.
Mi accorsi che un'altra macchina avanzava di fianco a quella.
Mi circondarono.
Avevo paura.
Cominciai a premere l'accelleratore ma l'altra macchina mi tagliò la strada e...
Tutto divenne nero. però non ero andata via.
Sentivo l'air-bag sotto il mio viso.
Avevo paura di aprire gli occhi ma lo feci e vidi due uomini.
Ridevano. Ridevano del mio incidente.
Piano piano si avvicinarono e sfoderarono i loro denti.
Denti affilati, aguzzi e lunghi.
Sembravano zanne.... no. Erano zanne.
Chi erano quegli uomini? cosa mi stavano per fare?
Conficcarono i loro denti nella mia carne. sentivo il mio sangue defluire fuori dal mio corpo.
Mi sentivo sempre più debole. Sempre più debole. Sempre più debole.
Persi i sensi. Ma questa volta non tornarono più.

Mi svegliai di soprassalto.
Era la prima volta in un anno che facevo un sogno del genere.
Sudavo. Avevo paura.
Non riuscivo a comprendere cosa fossero quegli uomini.
Non esistevano. Non potevano esistere degli esseri con denti tanto lunghi.
Irreale.
Erano le dieci. Avevo dormito solo cinque ore.
Era poco per una che ha lavorato otto ore consecutive, ma non avevo voglia di dormire.
Non un'altra volta. Non volevo rifare quel sogno orrendo.
Mia madre era morta per un incidente.
Non era stata assassinata.
No. Non era stata uccisa.
Ma perchè non c'era sangue? Non lo sapevo e non volevo saperlo.
Anche se lo venissi a sapere comunque non cambierebbe niente. La verità non mi riporterebbe mia madre.
Piansi quel mattino. Più di quanto avessi fatto in un anno.
Mi mancava mia madre ma facevo di tutto per non abbattermi. Volevo tenere il morale alto perchè sapevo che lei avrebbe voluto così.
Presi il suo diario che dopo la sua morte continuai a scrivere io.
Sai mamma, è buffo sognarti.
So che non ci sei più e non so cosa pensare dopo questo sogno che ho fatto.
Non riesco a farmene una ragione.
Potranno mai essere veri questi uomini dai denti aguzzi?
Tu li hai visti?
Mi manchi mamma.
Mi manca ogni singolo particolare di te.
Vorrei che tornassi indietro, che fossi qui con me ad insegnarmi i tuoi segreti.
Vorrei stringerti tra le braccia e vorrei che mi sussurrassi parole d'affetto come facevi ogni volta che mi sentivo sola e triste. Proprio come ora mamma.
Aiutami a superare questo momento.
Mi manchi mamma, io senza di te non so stare.
 
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_La_YLe_
CAT_IMG Posted on 22/4/2011, 22:34




Luna della Notte
Capitolo 3.

A volte vorrei non esserci mai,
oppure esserci ma restare invisibile;
Vorrei potere tutto, anche l'impossibile…
A volte vorrei volare e non smettere mai di sognare,
Vorrei che mi capissero senza bisogno di parlare;
Vorrei che tutto il mondo fosse più buono
E che le cose non fossero come invece sono;
Perché purtroppo è ben diversa la realtà:
Mi piaccia o non mi piaccia, io sono qua.



Non riuscii più ad addormentarmi.
Continuavo a cercare una risposta per quello strano sogno.
Avevo paura di reincontrare quegli occhi, quei sorrisi malvagi ed inquietanti che godevano dell’incidente che mia madre fece.
Avevo paura di vedere di nuovo il suo volto nei suoi ultimi momenti.
Avevo paura di tante cose, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarle.

Uscii di casa e mi andai a fare un giro per il quartiere.
Jefferson Street era una via abbastanza abitata, di mattina era piena di vita e di gente che parlava e parlava.
Non ce n’era uno, e dico solo uno, che non sapesse la vita dell’altro.
Tutti sparlavano di tutti, ma alla fine non dicevano mai niente in faccia.
Jefferson Street era caratterizzata soprattutto dalle villette tutte uguali. Se non fosse per i numeri non ti accorgeresti della differenza tra una casa ed un’altra.
Erano molto grandi, con i muri gialli e le persiane bianche, i tetti erano fatti di tegole rosse. Tutto intorno alle case c’era un giardinetto sulle quali molte persone posizionavano le cose che più le aggradavano, tavoli da giardino, giochi per i più piccoli ed alcuni erano riusciti a convincere il comune a farsi dare il permesso per costruirsi una piccola piscina sul retro.
Era proprio una bella via.
Non sapevo perchè ma mi stavo incamminando sempre di più verso il numero 19.
La casa di Derrik Hunter, il medico che poco prima mi aveva riaccompagnata.
Ci passai davanti ma prima di proseguire, indugiai un po’ con lo sguardo nella speranza di vedere qualcosa all’interno della piccola villetta perfettamente uguale alla mia.
-Hai bisogno di qualcosa Midnight?- mi chiese la signora Violet.
La signora Violet era la donna che apprezzavo di più in tutto il quartiere.
Era piccola e magra, aveva i capelli ricci, soffici e bianchi come lo zucchero filato, il volto segnato dalle rughe la rendeva dolce e tenera. Gli occhi piccoli, coperti dagli occhiali da vista, erano neri come la pece e il leggero trucco che metteva per dare un po’ di colore alle guance era perfetto per la sua carnagione chiara.
-No, non mi serve niente signora..- dissi mentre mi ritornavo indietro verso casa mia.
Mentre camminavo, pensai intensamente a Derrik. Volevo andarlo a salutare e di sicuro se non fosse arrivata la Signora Violet, l’avrei fatto. Ma arrivai alla conclusione che fosse meglio così. In fondo anche lui aveva fatto il turno di notte e doveva dormire, chi ero io per svegliarlo? Insomma ci conoscevano da meno di un giorno.
Mi sedetti su una panchina che era stata messa parallela alla strada.
In quel momento il mio cervello sembrava emettere fumo per la troppa attività celebrale.
Continuavo a pensare a quegli occhi azzurri e a quei capelli lunghi che avresti voglia di toccare.
Sentivo il volto in fiamme. Ero arrossita ma cosa me ne importava. Mi immaginavo stretta al suo corpo mentre ci sussurravamo frasi d’amore.
In quel momento l’unica cosa di cui avevo bisogno era un doccia fredda.
Rientrai e corsi in bagno.
Aprii l’acqua della doccia e mi ci buttai dentro ancora tutta vestita.
Non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo.
Mi spogliai piano piano e adagiai gli indumenti in un angolo della doccia così che non mi intralciassero nei movimenti.
Mi asciugai i capelli con l’asciugamano, lasciandoli umidi e un po’ spettinati. Corsi in camera e mi vestii con una tuta rosa e grigia della Kappa.
Mi stesi sul letto cercando di dormire e ci riuscii.

Erano le sei quando mi risvegliai. Qualcuno stava bussando alla porta.
-Arrivo!- urlai dal piano di sopra.
Scesi le scale e mi ritrovai davanti alla porta di ingresso.
-Chi è?- chiesi.
-Derrik Hunter.- disse.
Arrossii.
Aprii la porta e lo feci accomodare. Entrò senza esitazione.
Quella sera era vestito con un jeans stretto che evidenziava le gambe e le sue zone maschili, una camicia bianca un po’ sbottonata, che ti faceva venire in mente pensieri che mai avresti pensato di poter fare, abbinati a scarpe da ginnastica bianche.
-Come mai ancora così?- chiese un po’ sorpreso di vedermi in tuta.
-Beh... mi sono appena svegliata.- dissi mettendo una mano davanti alla bocca per coprire un imminente sbadiglio.
-Dai, vestiti che ti accompagno io.- Ecco perchè era venuto.
Sorrisi. Era proprio un uomo gentile.
Mi vestii con una maglia lunga rossa abbinata alla cintura nera con il fiocco, sotto misi i pantacollant neri e le scarpe rosse con il tacco.
Non seppi perchè mi vestii così. Ma ne avevo voglia.
Scesi dalle scale molto velocemente e vidi Derrik fare un sorrisino. Arrossii.
-Bella mise.- disse. Lo ringraziai diventando ancora più rossa in volto, almeno il rossore era abbinato ai vestiti.
Ci incamminammo verso la sua macchina.
Quando fummo a bordo, mi chiese come mi sentissi quel giorno.
-Sto bene grazie...- risposi anche se quegli uomini popolavano ancora la mia testa.
-Sicura?-
-No... cioè si...è che ho fatto un sogno strano stamattina...- confessai.
-Che genere di sogno?-
-Ho sognato l’incidente di mia madre e la causa della sua morte.- abbassai lo sguardo, lui mi fissava ogni volta che poteva farlo.
-Mia madre è morta di notte in un incidente automobilistico, l’hanno circondata ed alla fine le hanno tagliato la strada così... andò a sbattere contro un muro e neanche l’Air-bag potè salvarla.-
-Mi dispiace.- disse tristemente.
-Ormai non ci posso fare niente... però nel mio sogno c’erano persone molto strane.-
-In che senso...- cominciò a guardarmi curioso.
-Avevano lunghi denti aguzzi e bianchi. E ridevano del male che le fecero. Io ero lei in quel momento sentivo succhiarmi via il sangue non riuscivo a capire cosa stesse accadendo..- Cominciai a straparlare e ad agitarmi. Versai lacrime amare.
Lui era diventato rigido. Perchè?
 
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dënni
CAT_IMG Posted on 23/4/2011, 08:44




Scusa il ritardo con cui commento ^^
Complimenti per il modo di scrivere, non è niente male, e sono curiosa di vedere cosa accade nel quarto capitolo!
 
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_La_YLe_
CAT_IMG Posted on 4/7/2011, 21:33




Luna della Notte
Capitolo 4.

Mi hai portato via la sua compagnia
Mi hai portato via i suoi sorrisi
Mi hai portato via tutto quello che di lei mi era più chiaro.
Ora ti chiedo, Morte...
Perchè lei?
Perchè non me?
Perchè non un altro?
Una poesia egoistica probabilmente.
Ma comunque sia, ormai, della mia mamma...
non ne è più niente.



Continuava a guidare. Continuava a fissare la strada. Fino a poco prima continuava a girarsi per guardarmi mentre parlavo.
Non riuscivo a capire questo suo repentino cambiamento. Che avessi detto qualcosa di male?
-C'è qualcosa che non va?-
-No.- Risposta che voleva dire tutto il contrario.
-Ti posso fare una domanda?-
-Come ti pare.- ma perchè diavolo si comportava così?
-Senti guarda... lasciami scendere perchè se no veramente perdo la pazienza...- cominciai a sbraitare.
Mi ero irritata, da un momento all'altro, aveva cambiato atteggiamento verso di me. Non gli avevo di certo chiesto io di accompagnarmi!
Continuava a guidare. -Ho detto fammi scendere!- ripetei.
-Perchè?- chiese.
-Assurdo... Te lo domandi anche?- scossi la testa.
-Scusa... è che stavo pensando...- si difese.
-Ah.. e tu quando pensi diventi così maleducato?- mi ero offesa per bene. Non c'era niente da fare.
-A quanto pare.- sorrise.
Arrossii. Ma perchè diavolo, ogni volta che sorrideva, annullava tutte le mie certezze?
-Cosa mi volevi domandare?- si voltò verso di me.
-...sei un ipnotizzatore?-
Mi guardò come se fossi un'aliena. -E questa da dove ti è uscita?- rise.
Dopo che ci pensai, dovetti ammettere che era una domanda abbastanza strana. Assolutamente assurda.

Entrai nello spogliatoio e mi cambiai.
Quella sera il reparto era più affollato del solito. Mi guardai intorno.
-Ma... Ma... Ma sono tutte DONNE!!!- esclamai scioccata.
Continuavano a suonare i campanelli di chiamata per le infermiere. Tutti i pazienti erano disturbati dagli urletti e dai brusii di tutte quelle oche starnazzanti che si facevano chiamare donne.
Ecco perchè siamo sottovalutate, pensai.
Presi il microfono e cominciai a parlare alle presenti.
-Allora. Tutte in fila qui davanti perfavore. Darò un'occhiata ai vostri problemi e se ce ne sarà bisogno chiameremo un medico.- Un urlo collettivo riecheggiò in tutto l'atrio.
-Signore basta!!!- urlai. Si zittirono.
-Ok. La prima!-

Nemmeno una di quelle donne aveva un problema serio. Io credevo che Derrik mi avesse presa in giro.
-Ma signore... nessuna di voi ha niente di niente.!- dissi.
-Vogliamo essere visitate dal Dottor Hunter! Ovviemente lei non ha abbastanza requisiti per capire i nostri problemi.-
A voi serve uno psicologo, pensai.
-Allora mettiamola così... se non ve ne andate vi citerò tutte in giudizio per occupazione di un edificio pubblico.- si dileguarono.
Tirai un sospiro di sollievo. Sentii un piccolo applauso.
Mi voltai e vidi il medico più ambito dell'ospedale.
-Non potevi apparire circa due ore fa?- chiesi ormai distrutta.
-Avevo un intervento importante.- sorrise. -Ma sono arrivato in tempo per assistere alla fuga di quelle donne... Non pensavo che mi venissero a cercare anche di notte...-
-Oh si... e non sai come sono state fantasiose...- sghignazzai. -la cosa è gravissima! Stavo stendendo i panni e mi sono rotta un'unghia- rise.
Parlammo per un po' di questa storia e poi si scusò di nuovo per il comportamento tenuto nella sua macchina.
Passò mezz’ora e le porte dell’ascensore si aprirono facendo entrare un gelo disumano, del tutto innaturale.
Una donna con un lungo abito nero, di pelle, aderente entrò nell’atrio.
Aveva i lineamenti dolci e perfetti. La pelle era bianca perlata, lucida e senza neanche una impurità, gli occhi erano grandi e azzurri intensi. I capelli lunghi e biondi le cadevano sensuali sulle spalle, caratterizzando le labbra rosse come il fuoco.
Ci vide. Le pupille le si dilatarono. Ma non aveva paura.
Io tremavo, quella donna mi rendeva inquieta.
-Ti serve qualcosa?- chiese Derrik.
-Sono qui per una... trasfusione di sangue.- rise dopo. Inquietante risata.
Derrik digrignò i denti. –Certo... da questa parte.- disse indicandogli la strada.
Quando se ne furono andati, una forza dentro di me mi diceva di seguirli. Così lo feci.
Costeggiai il muro del corridoio che collegava tutte le stanze fino ad arrivare alla stanza dove tenevamo il sangue.
Entrai nella stanza vicina. Sentivo la voce della donna parlare con Derrik.
-Che cosa stanno dicendo?-

-Vuoi dissetarmi tu?-
-Vattene da qui.- esclamò gelido.
-Perchè mai? Ci sono abbastanza pazienti moribondi che potrebbero bastarmi per l’eternità.-
Cosa voleva dire? Mi affacciai leggermente per vedere cosa succedeva. La donna sorrise. Tremai.
Aveva lunghi denti aguzzi. Pensai che stessi sognando. Mi schiaffeggiai. Ma ancora li vedevo.
Lui sapeva, Derrik sapeva cosa erano.
La donna corse verso di lui e quasi gli addentò il braccio. Lui la spinse via.
Io mi rintanai di nuovo dietro al muro quando sentii un rumore sordo. Ed un qualcosa di viscido cadere per terra.
Mi affacciai nel corridoio nuovamente e vidi quello che mai mi sarei aspettata.
Derrik, girato di spalle, impugnava una pistola argentata con la scritta “The Hunters” sopra.
I capelli erano sporchi di sangue, come i suoi vestiti ed il suo camice da dottore.
Per terra, proprio davanti a lui, una massa informe di carne e sangue giaceva inerte.
-Fottiti, bastardo di un vampiro.- esclamò mentre altri due colpi colpirono quella cosa che prima era la bellissima donna dai capelli biondi.

Corsi nell’atrio.
Respiravo a malapena.
-Vampiri?- feci mente locale. –Ma è assurdo!-
Derrik ritornò stranamente ripulito dai segni del suo “omicidio”.
Mi sorrise ma al posto di arrossire, un brivido mi corse dietro la schiena per la paura. Era pericoloso?
Si sedette vicino a me e con un movimento che mi riuscii abbastanza meccanico, mi allontanai.
Mi guardava scioccato. –Perchè ti allontani da me?-
-Perchè io non ti conosco.- dissi.
-Mi stai prendendo in giro?!- rispose.
-Tu sei un assassino.- esclamai. Gli si sbarrarono gli occhi.
Continuavamo a guardarci senza dire una parola. Lui mi afferrò e mi fece distendere con la forza sul divanetto, mettendosi sopra di me, bloccandomi qualsiasi via di fuga.
-Hai visto?-
Annuii.
-Non puoi dimenticare?-
Negai.
-Cosa vuoi sapere?-
-Chi sei tu?-
 
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